di Giacomo Tommasi

IL MASSACRO DI TLATELOLCO

- 2 ottobre 1968 -

«I camion si sono aperti, cioè la parte posteriore dei camion, i soldati si sono buttati giù sparando. Ma non sparando in aria, sparando in basso, i fucili non li tenevano in alto, li tenevano in basso. Per due o tre minuti siamo rimasti sbalorditi, allibiti quasi, per questa cosa; questa cosa era un incubo, era al di là dell’assurdo perché non era successo niente che potesse giustificare l’arrivo di queste truppe. Stavano dicendo che volevano indire lo sciopero della fame lunedì! I ragazzi hanno cominciato a scappare. Socrates, non essendosi ancora reso conto che stavano sparando veramente alla folla, è andato al microfono e ha detto: «Compañeros, compañeros, calma calma calma, es una provocaciòn, es una provocaciòn!». Ma loro continuavano a scappare, volevano venire in avanti, e ad un tratto ho cominciato a vederli cadere, sai quando vai a caccia e le lepri corrono, come fanno le lepri quando le colpisci, fanno una specie di capriola e poi restano lì».

(Oriana Fallaci, da "Città del Messico, La notte di sangue in cui sono stata ferita")

È stato grazie alla preziosa testimonianza di Oriana Fallaci, e a tante altre giunteci da chi, quel 2 ottobre del 1968, si è improvvisamente trovato al centro di questo tragico evento, che è stato possibile ricostruire i fatti avvenuti nella Plaza de las Tres Culturas a Tlatelolco, Città del Messico, circa dieci giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi del 1968. Un evento capace di segnare indelebilmente la storia del Paese messicano, nonché di scuotere la coscienza dell’opinione pubblica mondiale dinnanzi alla feroce repressione messa in atto dall'esercito del governo guidato dal presidente Gustavo Diaz Ordaz.

Ciò che più colpisce, a quarantasette anni di distanza, è l'omertà che ancora avvolge la vicenda. Il 2 ottobre 2015, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha infatti dichiarato che il Massacro di Tlatelolco rimane una strage impunita, non essendovi, a distanza di cinquanta anni dagli avvenimenti, né responsabili individuati dalla giustizia né tantomeno alcun condannato. Oltretutto, non sono mai stati resi noti neanche i nomi degli studenti uccisi ed il loro numero esatto (secondo il governo furono 30, mentre le organizzazioni per i diritti umani affermano vi siano state oltre 400 vittime).

Tutto si verificò molto rapidamente, nella stessa piazza in cui il 13 agosto del 1521 i conquistadores spagnoli avevano inaugurato con quarantamila morti il massacro degli aztechi ed il genocidio dei popoli indigeni. A pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Città del Messico, dunque, il movimento studentesco organizzò una grande manifestazione, epilogo di una serie di proteste iniziate il 23 luglio, in Plazas de las Tres Culturas, simbolo delle lotte studentesche, non soltanto perché situata a Tlatelolco, non lontano dalla sede dell'università, ma anche perché molto grande e dotata di numerosi accessi. Paradossalmente, era stata scelta perché doveva essere facile tanto entrarci quanto uscirne in caso di pericolo. Gli studenti manifestavano contro una situazione sociale che aveva ridotto allo stremo il popolo messicano: tre milioni di ragazzi tra i sei e i quattordici anni non frequentavano la scuola; undici milioni di adulti erano totalmente analfabeti ed otto milioni di messicani non potevano permettersi di comprare alimenti quali carne, pesce o uova. Non era, peraltro, la prima volta che quei ragazzi si riunivano in piazza delle Tre Culture, avendo celebrato qualche giorno prima una commemorazione degli studenti uccisi, più di un centinaio dall’inizio della repressione.

In seguito alle manifestazioni delle settimane precedenti, il governo messicano aveva parzialmente evacuato le università dall'occupazione militare, decisa all'insorgere delle proteste. Anche per tale ragione, gli studenti decisero di indire una nuova manifestazione pacifica. Fu così che, quel 2 ottobre, migliaia di manifestanti affluirono all’interno della Piazza, fino a riempirla completamente, senza che nulla potesse far presagire l'inferno che avrebbero vissuto due ore più tardi. Mentre un oratore parlava alla folla, un elicottero dell'esercito illuminò i manifestanti con un bengala verde. Era stato dato il segnale per l'intervento dei granaderos. Le vie d'uscita vennero bloccate dai blindati della polizia e dell’esercito. Dai balconi e dalle finestre dei palazzi circostanti, i franchi tiratori del battaglione Olimpia (creato appositamente per garantire la sicurezza delle Olimpiadi) cominciarono a sparare nel mucchio, mentre i soldati caricavano i manifestanti sulle scalinate delle rovine azteche. Molti corpi esanimi dei manifestanti furono portati via dalla polizia e bruciati lontani da occhi indiscreti, cosicché il numero delle vittime potesse essere ridotto al minimo. Altri, invece, come riferito anni dopo nella relazione d’inchiesta sulla strage di Tlatelolco presieduta da Paco Ignacio Taibo II, vennero gettati nel Golfo del Messico da aerei militari, consegnandoli ad una morte silente.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Sergio Aguayo Quezada, 1968. Los Archivos de la Violencia, Mexico, 1998;

- Juan Miguel De Mora, T-68. Tlatelolco, Mexico, 1973;

- Renward Garcia Medrano, El 2 Octubre de 1968, Mexico 1998;

- Ignacio Paco Taibo II in “La Jornada”, 24 septiembre 1998;

- Oriana Fallaci, La notte di sangue in cui sono stata ferita, reperibile all’indirizzo http://www.oriana-fallaci.com/numero-42-1968/articolo.html .