IL MAGGIO FRANCESE


SESSANTOTTOGABRIELE PATO

« […] La classe operaia ha spesso immaginato nuovi mezzi di lotta, ma sempre in funzione della situazione precisa in cui si trovava. Nel 1936 ha inventato l’occupazione delle fabbriche perché era l’unica arma che aveva per consolidare e sfruttare una vittoria elettorale. Voi avete un’immaginazione molto più ricca, e le parole sui muri della Sorbona lo dimostrano. Da voi è arrivato qualcosa che stupisce, scuote le coscienze, rinnega tutto quel che ha reso la nostra società ciò che è oggi. È quello che chiamerei l’estensione del campo del possibile. Non rinunciateci!».

(Jean-Paul Sartre a Daniel Cohn Bendit “Le Nouvel Observateur”, 28 maggio 1968)

Sovraffollamento delle università, incertezza degli sbocchi professionali, una profonda frattura generazionale e lo scarso ricambio nelle classi dirigenti sono solo alcune delle cause dell’ondata di proteste che oggi viene ricordata come il Sessantotto francese, forse la più nota e probabilmente la più narrata tra le sollevazioni studentesche di quell’anno.

La Francia arrivò ultima sulla scena del Sessantotto europeo, per diventarne, tuttavia, la primattrice. In Germania, ad esempio, il movimento studentesco tedesco partito da Berlino Ovest, aveva già raggiunto il proprio culmine nei mesi precedenti, per poi conoscere un periodo di declino in seguito all’uccisione in un attentato del proprio leader carismatico Rudi Dutschke, avvenuta l’11 aprile. Quanto all'Italia, tutto era iniziato a Trento, dove, il 24 gennaio 1966, con più di due anni di anticipo rispetto ai colleghi di Paris Nanterre, gli studenti della Facoltà di Sociologia occuparono per la prima volta nella storia italiana una sede universitaria. Nonostante il ritardo - se così lo si può chiamare - degli studenti parigini, il caso francese assunse caratteri particolari che lo elevarono a simbolo internazionale delle istanze giovanili e della nuova sinistra maoista, antiautoritaria e spontaneista, ispirata dai Provos olandesi e rappresentata dal Movimento 22 marzo. Come già accennato, il nucleo del movimento si sviluppò tra il 1967 e l’inizio del 1968 presso l’università la facoltà di Lettere e Scienze Umane di Paris-X a Nanterre, inaugurata nel 1964 per ovviare al sovraffollamento della Sorbona. In questo contesto, nuovo, progressista e periferico, si incontrarono per la prima volta studenti e professori insoddisfatti dello status quo, portatori di valori innovativi, rivoluzionari e, soprattutto, disposti all’azione. Tra di essi vi erano coloro che sarebbero diventati, nel giro di pochi mesi, le menti e le braccia del maggio Francese: dalla parte degli studenti, i nomi più rappresentativi erano quelli di Daniel Cohn Bendit e Alain Geismar, all’epoca dirigenti del SNESUP (un sindacato universitario) mentre, dalla parte dei docenti, spiccavano i filosofi Paul Ricœur, Henri Lefebvre e Alain Tourraine che, insieme ad altri colleghi, proponevano un metodo di insegnamento alternativo ed egalitario.

Le prime tensioni si ebbero già nel marzo 1967 quando a Nanterre 60 studenti decisero di occupare un padiglione, in nome della libertà di circolazione all’interno dell’ateneo: la regola vigente imponeva che alle donne fosse consentito muoversi liberamente all’interno del campus, mentre gli uomini avessero diritto ad accedere esclusivamente alle aree a loro destinate. Dopo una settimana di occupazione, appoggiata e sostenuta da molte studentesse, le loro istanze furono accolte in maniera parziale. Durante l’anno successivo, gli ex occupanti concentrarono la propria propaganda sulle idee di liberazione sessuale, di università libera e aperta e di egalitarismo. Così, meno di un anno dopo, nel febbraio 1968, una nuova occupazione degli edifici femminili impose la libertà di circolazione nel campus come un dato di fatto, restituendo credibilità ed entusiasmo ai gruppi di “disobbedienti”. Il mese dopo venne fondato il Movimento 22 Marzo, in difesa degli arrestati per le sommosse del 20 marzo, quando un gruppo di trecento persone saccheggiò la sede dell’American Express per celebrare la vittoria dei vietnamiti contro il colonialismo francese. Nei mesi successivi, dopo diverse azioni di protesta, questi vennero convocati dalle istituzioni universitarie e dalla polizia, intimandogli di cambiare università se non avessero voluto essere espulsi dalla Francia. In tutta risposta, il Movimento organizzò una grande giornata di mobilitazione anti-imperialista per il 2 maggio 1968.

Il 3 maggio, in seguito alla chiusura delle facoltà di Nanterre per motivi di sicurezza, le assemblee studentesche decisero di trasferirsi in massa nel cortile della Sorbona. Le autorità non accettarono compromessi e, nel giro di poche ore, l’università venne evacuata con la forza, spostando le proteste lungo le viuzze della Rive Gauche. Quelle che inizialmente erano assemblee e manifestazioni non violente, nel giro di poche ore si trasformarono in durissimi scontri tra studenti e polizia: al grido di “Vietato vietare!”, vennero erette barricate in tutto il Quartiere Latino e le violenze proseguirono per diverse ore.

Inizialmente, i sindacati dei lavoratori, tranne quello degli insegnanti, presero le distanze da questi movimenti giovanili definiti “sinistroidi, borghesi e avventuristi”, in contrasto con l’ortodossia marxista propugnata dalla sinistra radicale dell’epoca. La percezione però mutò completamente il 10 maggio, quando gli studenti, in piena notte, occuparono le principali arterie del Quartiere Latino e cominciarono ad erigere barricate: la repressione poliziesca fu durissima, ma la difesa si rivelò altrettanto tenace. La settimana di violenze si concluse con centinaia di arresti, oltre duemila feriti e ben sette morti, accendendo definitivamente la miccia della rivolta. I dirigenti dei partiti di sinistra e dei principali sindacati si riunirono la mattina stessa e proclamarono una marcia contro la repressione e il regime gollista per il 13 maggio. Quella mattina, più di ottocentomila persone attraversarono Parigi in corteo dando inizio ad uno sciopero generale spontaneo che attraversò e paralizzò tutta la Francia attraverso blocchi stradali, violenze, occupazioni di fabbriche ed università. Le rivendicazioni, sia dei lavoratori sia degli studenti, avevano un nucleo tradizionale (salari più alti, meno ore di lavoro, tasse universitarie accessibili a tutti) ma si caratterizzarono per l’introduzione di istanze qualitative, volte a riorganizzare il sistema-fabbrica ed il sistema-università dall’interno, promuovendo autogestione e cogestione. Il dibattito sugli scioperi e le rivendicazioni monopolizzarono giornali, radio, televisione e discorsi da bar ma, soprattutto, raggiunse il massimo dell’intensità durante l’occupazione del Theatre Odéon, dove per circa un mese si assistette a discussioni ed assemblee che coinvolsero cittadini di ogni fascia sociale: studenti ed operai di sinistra, quadri dirigenti delle aziende, politici, diseredati delle banlieux, liceali, artisti, filosofi, casalinghe e turisti curiosi.

Il governo, da parte sua, era diviso tra l’intransigenza del generale De Gaulle e la maggiore apertura al dialogo del presidente del consiglio Pompidou. Quest’ultimo, giunse ad un compromesso con i movimenti sindacali dopo una trattativa durata un paio di settimane. L’accordo venne firmato il 27 maggio nell’Hôtel du Châtelet di rue de Grenelle e mise la parola fine allo sciopero generale. Contemporaneamente, De Gaulle si distinse per il suo stile autoritario, rivolgendosi direttamente alla nazione con un discorso a reti unificate, cercando di ottenere l’approccio del popolo maggiormente conservatore, che rispose con una grande manifestazione di destra il 30 maggio, grazie al proprio carisma e all’importanza simbolica della sua figura. Inoltre, sciolse il governo ed impose elezioni anticipate per il 30 giugno, dalle quali il suo partito uscì gloriosamente vincitore. Il movimento studentesco ed operaio uscì probabilmente sconfitto nelle sue intenzioni più radicali e rivoluzionarie, ma lasciò un segno indelebile nella memoria francese ed europea, inaugurando un nuovo modo di concepire i giovani, le loro istanze ed il rapporto con le autorità e le generazioni passate.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- D. Cohn-Bendit, “L’estremismo, rimedio alla malattia senile del comunismo”, Einaudi, 1969.

- D. Cohn-Bendit, “Nous l'avons tant aimée, la Révolution”, Barrault, 1992.

- B. Stucchi, “I manifesti del maggio francese”, Skira, 2018.