#occupygezy e il movimento di piazza Taksim

#OCCUPYGEZY E IL MOVIMENTO DI PIAZZA TAKSIM

Nel 2011 il partito per la Giustizia e lo Svilupo (AKP) guidato dal Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan cominciò a manifestare una diversa natura politica, rimasta a lungo dormiente durante i primi mandati dell’ex sindaco di Istanbul. Il governo cominciò a censurare opere teatrali e letterarie considerate immorali (la prima opera sottoposta a censura fu "Uomini e Topi" di John Steinbeck). Contemporaneamente, si attuarono vaste epurazioni tra i funzionari pubblici in seguito allo scandalo Ergenekon, iniziarono a piovere multe molto salate nei confronti dei media tradizionali di opposizione, in particolare verso le pubblicazioni del colosso mediatico Dogan. Infine, venne approvata una legge che proibì la produzione domestica di alcol e vietò la vendita di bevande alcoliche al dettaglio dopo le ore 22 nonché la somministrazione delle stesse all'interno delle aree universitarie. Nel 2012 il parlamento turco approvò una riforma dei programmi scolastici, riforma mirata a dare un maggior peso alla religione musulmana fin dall'istruzione primaria. In occasione del voto, Erdoğan affermò pubblicamente il desiderio di «una nuova generazione più pia». Nello stesso periodo, una nuova linea interpretativa suggerita dal Ministero della Giustizia permise un notevole aumento delle condanne per blasfemia ed in generale un giro di vite nei confronti di chi venisse considerato irrispettoso verso l'Islam.

La regione del Mar Nero, in particolare la provincia di Samsun, area tradizionalmente laica e nazionalista - da cui Atatürk cominciò la propria avanzata durante la guerra civile - vide fiorire numerosi movimenti di protesta antigovernativi, in parte già attivi dal 2007. In questa regione, dedita principalmente alla coltivazione del tabacco e tagliata fuori dagli itinerari turistici e dai grandi progetti infrastrutturali, si svilupparono comitati spontanei volti alla difesa della laicità e dell'ecologia del territorio - spesso guidati da intellettuali, artisti e musicisti locali al grido di «Una rivoluzione per la natura!» - in contrasto con la decisione governativa di ivi costruire discariche, centrali energetiche e dighe.

In coda a queste proteste nacque il primo movimento di opposizione alla ricostruzione, in luogo del parco Gezi, di una vecchia caserma ottomana trasformata in centro commerciale e appartamenti di lusso. Il movimento, costituito il 28 maggio 2013 da un sit-in di una cinquantina di persone, raggiunse presto una vasta partecipazione anche grazie all'attento uso dei social network e dell'hashtag #occupygezi: già due giorni dopo si contavano varie migliaia di partecipanti.

Tra il 30 ed il 31 maggio, la polizia attaccò gli occupanti con gas lacrimogeni e idranti, arrestando compiendo almeno sessanta arresti e ferendo centinaia di persone. L'azione di polizia ricevette grande attenzione, sopratutto sui social network, provocando l'indignazione di moltissimi cittadini turchi. Nella notte tra il 31 maggio ed il 1 giugno altre migliaia di turchi raggiunsero il parco e l'adiacente piazza Taksim per proseguire una protesta che ormai chiaramente sconfinava le motivazioni originarie, trasformandosi in una grande dimostrazione antigovernativa. La risposta della polizia fu così dura da portare lo stesso Ministro dell'Interno a dichiarare l'utilizzo di lacrimogeni «sproporzionato». Il presidente Erdoğan, invece, rimase coerente con la linea dura applicata sino a quel momento: «quando loro riuniscono venti persone, io ne chiamerò duecentomila. Quando loro ne portano centomila, io ne avrò un milione». Nello stesso giorno vennero organizzate anche le prime manifestazioni ad Ankara e Antalya, anche queste represse con estrema violenza. Durante la notte tra il 1 ed il 2 giugno, due manifestanti vengono uccisi (uno investito, uno da un colpo al capo) ad Ankara e Antakya.

Il 3 giugno Erdoğan, all'apice del caos - mentre la pacifica protesta al parco Gezi si era trasformata in una continua guerriglia nelle principali città della Turchia - lasciò il paese per tre giorni recandosi in nord Africa per alcuni incontri diplomatici. Ad Antakya, diverse migliaia di persone parteciparono al funerale del giovane ucciso il giorno prima ed il governo ordinò l'intervento dei mezzi dell'esercito per disperdere il corteo. Il 5 giugno diverse sigle sindacali proclamarono lo sciopero generale, affiancando ai giovani dimostranti una grande massa di lavoratori scontenti, principalmente dipendenti della pubblica amministrazione ed insegnanti. Piazza Taksim, alla vigilia del ritorno di Erdoğan raggiunse proprio apice di partecipazione ma la situazione restò calma e pacifica.

Il 10 giugno 2013, il vice primo ministro Arinc dichiarò che Erdogan sarebbe stato disposto a incontrare rappresentanti dei movimenti di protesta la sera del 13 giugno 2013. L'incontro ebbe luogo ed il premier turco dichiarò di volersi rimettere alla sentenza della magistratura, a cui il movimento si era appellato per bloccare l'opera pubblica, proponendo addirittura di indire un referendum consultivo in merito.

L’11 giugno però, il governo decise di sgomberare la piazza definitivamente. Un intervento massiccio delle forze dell'ordine, permise di sgomberare la piazza dopo ore di scontri caratterizzati dall'uso indiscriminato di proiettili di gomma. Le due settimane di proteste provocarono cinque morti, oltre ottomila tra feriti ed intossicati e più di duemila arresti. Piazza Taksim, ancora oggi presidiata costantemente dalla polizia, è rimasta un simbolo della resistenza allo strapotere di Erdoğan e della maggioranza conservatrice.