La rivoluzione dei gelsomini

GIANMARCO PANERATI

LA RIVOLUZIONE DEI GELSOMINI

«Ci sono pochissimi momenti nelle nostre vite in cui abbiamo il privilegio di assistere alla storia. Questo è uno di quei momenti. Questa è una di quelle volte.»

(Barack Obama commentando le primavere arabe)

IL 17 dicembre 2010 in Tunisia, più precisamente davanti al palazzo del governatore della cittadina di Sidi Bouzid, un giovane venditore ambulante di frutta di nome Mohamed Bouazizi decide di cospargersi di benzina e darsi alle fiamme. È a questa data che si fa risalire l’inizio delle Primavere arabe.

Il gesto avviene dopo l’ennesima angheria subita dal giovane da parte della polizia municipale che gli aveva appena sequestrato tutta la merce umiliandolo in pubblica piazza. Esso è sintomatico di una situazione divenuta ormai insostenibile che presenta i devastanti effetti della crisi economica, un altissimo corruzione e la piaga della disoccupazione. A ciò si deve aggiungere la detenzione del potere da parte del regime dittatoriale guidato da Ben Ali che reprime la popolazione privandola tanto della libertà quanto di quella dignità che verrà poi rivendicata nei moti di piazza esplosi nel contesto della Rivoluzione tunisina.

Furono questi i principali motivi che portarono alla nascita della Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, la cui miccia è identificabile nel suicidio di Mohamed Bouazizi. Proteste e moti di piazza popolari esplosero, dunque, tra il 2010 e il 2011 facendo piombare il paese nel caos e rendendolo il centro di propagazione di proteste in tutto il mondo arabo.

I moti tunisini furono profondamente legati al concetto di karāmah, ovvero quella dignità che il popolo aveva perso e ambiva ora a riconquistare. Inoltre, le proteste furono caratterizzate dall’esaltazione dell’individualità piuttosto che della collettività, caratteristica che trova conferma anche nelle proprietà che assunsero le manifestazioni stesse. Quest’ultime, infatti, mai furono guidate da un’ideologia comune, mai un partito si pose alla guida della rivoluzione e mai, infine, la religione assunse un ruolo chiave nello sviluppo dei fatti.

Fin da subito il regime benalista diffuse notizie false riguardo ciò che accadeva in Tunisia indicando i rivoltosi come estremisti nel tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Gli stessi governi occidentali sottovalutarono ampiamente la situazione, ciò mentre il popolo tunisino invadeva le piazze e le strade al grido di Ash-sha’b yurīd isqāţ an-ni ām, “Il popolo vuole la caduta del sistema”.

Peculiarità di questa rivoluzione, e delle primavere arabe in generale, fu il ruolo da protagonisti che si ritagliarono internet e i social networks. Oltre a fungere come cassa di risonanza mondiale attraverso alla condivisione di immagini e video da parte di tunisini residenti all’estero, internet divenne presto lo spazio di aggregazione delle rivolte tunisine. Il mondo virtuale fu politicizzato a tal punto da lasciare impressa nell’immaginario collettivo l’idea delle Primavere arabe come “Facebook Revolution”, definizione quantomeno superficiale della Rivoluzione tunisina. Internet ha avuto sì un ruolo di primo piano nello sviluppo delle vicende e il suo utilizzo in tal senso rappresenta un’unicità da valorizzare e ricordare, tuttavia da non escludere come elementi chiave del successo delle rivolte sono la fisicità delle piazze, i metodi di aggregazione classici, nonché i media tradizionali.

Tutti questi elementi hanno contribuito al successo delle proteste tunisine che vide completare la sua prima tappa il 14 gennaio 2011, quando Ben Ali, ormai resosi conto di non essere in grado di gestire situazione, fuggì con la sua famiglia in Arabia Saudita.

Da quel momento la Tunisia entrò in un lungo periodo di transizione volto alla democratizzazione, ostacolata, quest’ultima, più volte lungo il cammino. Nonostante diverse volte l’ordine e la stabilità democratica furono minacciati, si arrivò alla Costituzione del 2014 e con essa alla conferma del successo della democratizzazione. Esso non combacia tuttavia con il successo dei moti tunisini, infatti, i manifestanti non chiedevano una nuova costituzione, bensì il rispetto della dignità, della giustizia sociale, del diritto del lavoro e della libertà.