La Persia al tempo dei Cagiari

di Lorenzo Bonaguro

Prima della dinastia dei Pahlavi, i regnanti sul trono di Persia furono i Cagiari, o Qājār in lingua farsi. Presero il potere con la forza nel 1796 e col potere furono deposti nel 1925. Riuscirono a mantenere le redini del paese nonostante la crescente pressione delle potenze straniere, prime fra tutte la Gran Bretagna e la Russia zarista, ma il crollo fu provocato da criticità interne. La causa profonda della caduta della dinastia cagiara fu la scarsa presa che la famiglia reale aveva sulle élite locali e sulla società nel suo insieme.

Secondo il giudizio di molti occidentali i Qājār furono il perfetto esempio di ciò che veniva chiamato "dispotismo asiatico": lo Scià aveva il monopolio sull'amministrazione, sulla tassazione, sulla giustizia e ovviamente sull’uso della forza. Insomma, la sua parola era legge. In realtà, i poteri teoricamente illimitati dello Scià non furono mai applicati concretamente data l’assenza di un apparato burocratico centralizzato necessario a tenere sotto controllo un paese vasto come l'Iran. L’esercizio del potere si fondava su una rete di rapporti informali fra lo scià, le grandi famiglie aristocratiche, i medio-piccoli notabili locali e tutta una vasta e intricata rete di relazioni clientelari che si sviluppava al di sotto di questi. A complicare ulteriormente il quadro vi erano anche dinamiche di accesso al potere, rivalità e amicizie fra clan, frizioni etniche e religiose, soprattutto lontano dalle grandi città. I ministeri erano affidati a esponenti delle grandi famiglie e questi trattavano i documenti ufficiali dello stato come se fossero privati, mentre l’apparato burocratico e amministrativo loro subordinato era delegato a persone fedeli non tanto allo stato o alla dinastia, ma a queste stesse famiglie. Per esempio la carica di ministro delle finanze, responsabile della riscossione delle tasse in tutto il paese, era una carica ereditaria. Inoltre il sistema era tremendamente mal funzionante, anche e soprattutto a causa della mancanza di registri catastali. Quei pochi documenti in mano agli ufficiali provinciali, inoltre, erano appositamente scritti con una grafia non comprensibile a chiunque non facesse parte dell'apparato burocratico, che tendeva a comportarsi come una vera e propria corporazione.

Il ruolo preponderante dei capi clan e degli esponenti religiosi era tale che lo stato garantiva loro dei sussidi dal proprio magro bilancio, la cui voce entrate era composta di tasse sulla terra, sui profitti della gestione del sistema telegrafico e altri monopoli su particolari prodotti. Le uscite erano quasi tutte per le spese della corte. Neanche le forze armate ricevevano particolari attenzioni: sulla carta il ministero della guerra vantava un esercito di oltre 200'000 uomini, ma gli osservatori stranieri stimavano una forza effettiva di appena 8000. Inoltre, i soldati venivano reclutati dai signori locali e erano fedeli solo e soltanto a loro. Non esisteva il ben che minimo legame di fedeltà nei confronti dello stato o della famiglia reale e perfino il controllo delle forze di polizia era in mano a esperti stranieri stipendiati.

Nonostante tutte queste criticità, i reali riuscirono a rimanere sul trono per più di un secolo grazie a un accorto gioco di forze con le altre grandi famiglie e al fascino che riuscivano ad avere agli occhi della popolazione comune. Infatti i Qājār si ammantarono di un’aura di sacralità promuovendo l’immagine di sé stessi come difensori dello sciismo. Sostennero di discendere da varie figure religiose del passato, come Alì in persona, e di grandi condottieri e regnanti della Persia preislamica.

All’inizio del Novecento però le cose cambiarono repentinamente. La penetrazione straniera, principalmente britannica e russa, divenne intollerabile per una popolazione in grandissima parte estromessa dalla ricchezza derivante dalle concessioni petrolifere, le cui risorse si accumulavano nelle mani della corte e di pochissimi altri notabili. Nel 1906 scoppiarono grandi tumulti nella capitale e una folla di decine di migliaia di persone chiese a gran voce un programma di riforme che lo scià Mozaffar o-Din assecondò immediatamente, approvando la creazione di un’assemblea elettiva, il Majles. Il suo successore, Mohammad Ali, tentò però di sopprimere la neonata assemblea provocando una guerra civile. Le conseguenze del conflitto furono devastanti e lo scià riuscì a mantenere il trono soltanto grazie all'intervento di russi e britannici, che in cambio si spartirono ufficialmente le aree di influenza nel paese, provocando ancor di più le ire della popolazione.

L’ultimo scià della dinastia Qājār fu Ahmed Shah, salito al trono nel 1909 a soli 11 anni: fu un sovrano effimero in balia della corte e delle potenze straniere. Il colpo fatale per il trono fu il fallimento nel difendere il paese durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 1921 Reza Khan, asceso al potere grazie a una brillante carriera nell’esercito, ottenne l’incarico di primo ministro dopo aver marciato su Teheran alla testa delle proprie truppe, ma questo fu solo il penultimo passo: nel 1925 Reza decise di chiudere la questione e depose Ahmed cacciandolo in esilio, assumendo il titolo di Reza Shah Pahlavi. Dopo poco più di cento anni la dinastia Qājār scompariva dalla politica persiana per sempre.