La crisi petrolifera del 1973

LA CRISI PETROLIFERA DEL ‘73

Il 1948 è l’anno che sancisce la nascita dello stato di Israele e dei tumultuosi anni di conflitti internazionali in Medio-Oriente. Da una parte Israele, dall’altra la preesistente Palestina che, con gli anni e con le guerre, vede sottrarsi pezzi sempre più importanti di territorio nazionale, passando per la guerra dei sei giorni (1967) e per la guerra del Kippur (1973).

Israele, nelle sue scelte e nelle sue azioni, fu favorita dall’appoggio delle potenze occidentali, Stati Uniti in primis. I paesi arabi, con l’Egitto di al-Sadat in prima linea, al contrario, dovettero arrancare per raggiungere qualche modesto successo. L’Unione Sovietica a stento si rese disponibile nel fornire risorse per la difesa araba. Il conflitto arabo-israeliano si pone, di fatto, come ulteriore diatriba all’interno del contesto duopolistico internazionale e il Medio-Oriente catalizza gli interessi di ambo le parti: le rotte commerciali, la ricchezza di risorse e, non per ultimo, l’oro nero.

Il tanto ambito oro nero è, infatti, la causa della crisi petrolifera del 1973. L’assetto produttivo industriale occidentale si regge principalmente sullo sfruttamento di questa risorsa energetica, di cui i paesi arabi sono i principali esportatori e le cui terre sono distese di giacimenti petroliferi a disposizione della produzione di tutto il mondo. Per tale ragione, i paesi arabi si riuniscono nell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), per gestire e negoziare i termini di produzione, prezzo e concessione dei giacimenti con le compagnie petrolifere. Correva l’anno 1960.

Durante la guerra del Kippur, i paesi arabi, come misura di ritorsione per l’aiuto occidentale ad Israele, intervennero sul prezzo del petrolio. Essi, di norma, concedevano alle compagnie petrolifere il diritto di sfruttamento dei loro giacimenti ad un prezzo molto basso e ai paesi produttori veniva così corrisposta una somma fissa, a prescindere dalla quantità di petrolio estratto. Nel 1973 i paesi arabi revocano questo diritto e, in maniera artificiale, creano una scarsità di petrolio, determinando loro stessi, al contrario di quanto avveniva prima, la quantità di petrolio da poter estrarre. Venendo meno l’offerta, il prezzo del petrolio triplicò automaticamente.

Le conseguenze sono drammatiche, soprattutto per il mercato della produzione e, di fronte ad una domanda inestimabile di petrolio, l’offerta viene resa scarsa. Pertanto, assistiamo ad un’inflazione mondiale, in quanto la maggior parte dei beni industriali, specie dopo il boom economico degli anni ‘50 e ’60, viene prodotta grazie al petrolio e di conseguenza il prezzo di questi beni sale vertiginosamente. Ma non solo: molti sistemi produttivi non possono più permettersi di acquistare le quantità di petrolio necessarie al corretto funzionamento della produzione e si vedono costretti a contrarla. In Italia, ad esempio, l’illuminazione pubblica fu ridotta del 40%, gli esercizi commerciali avrebbero dovuto chiudere alle 19 mantenendo spente le insegne pubblicitarie e vi fu il divieto di circolazione in automobile la domenica e nei giorni festivi, fatto che mise in crisi l’industria automobilistica (FIAT) che si vide costretta a ridurre gli orari di lavoro.

Per la prima volta, in Occidente, veniva meno la fiducia in uno sviluppo continuo che, fino ad allora, era stato assicurato dall’economia mista e dagli accordi di Bretton Woods. Sebbene di origine differente, l’ultima crisi di tale portata risaliva al 1929, ma già nel 1971 il presidente Nixon aveva sospeso, per poi mai riprendere, gli accordi di Bretton Woods, in seguito ai problemi derivanti dalla guerra in Vietnam e alla stessa crisi. Tale stato di cose, portò ad un abbassamento del livello di vita degli occidentali. Il lascito della crisi petrolifera sarà la non continuazione di Bretton Woods e quindi l’instabilità finanziaria, la quale produrrà crisi in maniera costante negli anni a venire e fino ad oggi; una maggior focalizzazione sulla geopolitica mediorientale, punto strategico per l’accaparramento di risorse energetiche, e sui paesi in via di sviluppo, tra cui quelli appena usciti dalla decolonizzazione; l’ecologia, che coglierà l’occasione per cominciare una battaglia per la riappropriazione degli spazi pubblici e per l’utilizzo di nuovi tipi di energia sostenibile; il malcontento generale delle persone, sempre meno disposte ad accettare scandali e corruzione in favore di un modesto e instabile benessere.