di Lorenzo Bonaguro

IL RENTIER STATE

Uno dei pilastri su cui si regge il potere è la distribuzione, più o meno ampia, della ricchezza, che nel caso specifico del Rentier State, o “stato redditiere”, deriva dall’abbondanza di una o più risorse, solitamente il petrolio.

Su questa risorsa lo Stato riesce a basare parte o tutto il reddito nazionale che non viene generato all’interno del sistema produttivo nazionale, ma dalla vendita di quella risorsa a partner esteri.

Questo flusso di denaro viene solitamente gestito direttamente dallo Stato, lasciando nulla in mano ai privati: così facendo il potere centrale è in grado di controllare la stabilità economico-sociale e quindi garantirsi legittimità politica.

Tuttavia, un rentier state non è necessariamente uno Stato autoritario ma è molto probabile che chi si trovi al potere nel momento in cui inizia un massiccio e costante flusso di denaro dall’estero sia in grado di controllarlo e di conseguenza rinsaldare facilmente il potere.

Innegabilmente molti rentier state hanno regimi poco democratici: esempi lampanti sono i paesi arabi ricchi di petrolio. L’esistenza dei rentier state sembra anche essere una prova concreta della cosiddetta “maledizione delle risorse”: i paesi ricchi di risorse naturali non riescono a costruire né un’economia di mercato né una società stabile a causa delle distorsioni prodotte dagli ingenti proventi del petrolio; l’autoritarismo sembrerebbe così una naturale conseguenza.

Esiste però un caso opposto: la Norvegia. La metà delle esportazioni del paese scandinavo sono legate al petrolio, senza minare le sue istituzioni democratiche.

Alcuni studiosi sostengono che uno Stato con queste caratteristiche generi una “rentier mentality”, che consiste in un atteggiamento politicamente passivo diffuso nella popolazione verso il potere. Gli individui, infatti, possono trarre maggiori vantaggi dal partecipare alla rendita piuttosto che ricorrendo all’iniziativa privata. Questa condizione di fatto ha scoraggiato lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale nei paesi arabi, che rimangono solo potenzialmente in grado di creare una classe di imprenditori.

Nel Rentier State, i detentori del potere - in particolar modo i capi di stato - giocano un ruolo chiave nel tessuto politico e social: ne è un esempio il Kuwait, che negli ultimi decenni ha fatto seguito al suo emiro Sheik Jaber, morto nel 2006, che negli anni Ottanta si affermò come un sovrano debole. Ne conseguì una perdita di leadership politica regionale del Kuwait. Il contrario è avvenuto a Dubai, grazie agli emiri Rashid al-Maktoum e il figlio Mohammed bin Rashid che sono riusciti a portare in primo piano l’Emirato all’interno della federazione degli Emirati Arabi Uniti, rendendola una meta turistica internazionale.

Dunque, la rendita da petrolio è la base della ricchezza dei rentier state ma al tempo stesso è una grande debolezza: rende il paese esposto alle fluttuazioni della domanda di petrolio sul mercato globale. Per questo motivo si pone la necessità di diversificare la propria economia, cosa che molti paesi arabi si appropinquano a fare, in particolare l’Arabia Saudita dove il principe ereditario Mohammed Bin Salman, tra le varie novità, ha lanciato la Vision 2030: un ambiziosissimo piano per rendere il Paese meno dipendente dal petrolio senza rinunciare alla ricchezza, aprendo a investimenti stranieri in molti settori, soprattutto quelli ad alta tecnologia.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- H. Beblawi, G. Luciani, a cura di, “The Rentier State”, Croom Helm 1987

- Bottos, Rustichelli, Schiavi, Scita, Sirtori, “Il trono di sabbia. Stato, nazioni e potere in Medio Oriente”, Rosenberg&Sellier, 2019