di Lorenzo Bonaguro

1997: IL GOLPE ‘POSTMODERNO’ IN TURCHIA

Dal 1960 ad oggi, la Repubblica di Turchia è stata spesso funestata dai colpi di stato, cinque in totale, messi in atto dalle forze armate per riportare stabilità politica e laicità all’interno dello stato, di cui l’esercito è costituzionalmente il custode. Il colpo di stato del 28 febbraio 1997 fu però particolare: a differenza di quelli passati, non venne sparato un solo proiettile e, per questo motivo, fu chiamato golpe “morbido”, o anche “post-moderno”.

Nel dicembre del 1995 il Welfare Party (WP), guidato da Necmettin Erbakan, vinse le elezioni nazionali. Per la prima volta un partito islamista raggiungeva la maggioranza e, grazie al sostegno di partiti minori, poteva sperare di ricevere l’incarico di formare il governo. Tuttavia, i militari attuarono da subito un’opera di pressione nei confronti degli altri partiti affinché non venisse formata una maggioranza con il WP. Alla fine delle consultazioni, il presidente della Repubblica Süleyman Demirel, decise di affidare comunque l’incarico a Erbakan nel giugno del 1996. Il partito di Erbakan era collegato, tramite lo stesso Primo Ministro, a una costellazione di organizzazioni religiose, animate dall’idea di portare al potere l’islam politico anche in Turchia: il WP, come altri partiti che gli succedettero, era di fatto il braccio politico del Millî Görüş, un movimento profondamente islamista ed euroscettico. L’agenda portata avanti dal governo Erbakkan si scontrò inevitabilmente con le forze laiche del paese. Sul lato della politica interna, il Welfare Party portava avanti un programma di re-islamizzazione delle istituzioni e della società, ad esempio sostenendo le scuole religiose e assecondando i gruppi più radicali, mentre sul versante della politica internazionale, veniva vagheggiata l’idea di un “G7 musulmano” da contrapporre a quello “occidentale”. Erkaban in persona lanciava da anni gravi accuse verso i paesi occidentali, gli Stati Uniti, la NATO e la Comunità Europea, rei di voler sovvertire l’ordine sociale della Turchia tradizionale, tanto economicamente quanto dal punto di vista religioso.

Nella sua strenua opposizione al governo, l’esercito venne affiancato anche dal mondo dei mass media, i quali, per tutto il breve governo di Erbakan, accusarono ripetutamente il presidente di voler distruggere le fondamenta della repubblica poste da Ataturk: lo slogan più in voga durante quei mesi era «il secolarismo è morto, la Sharia sta arrivando». Il generale pluridecorato Guven Erkaya definì i gruppi religiosi, sostenuti da Erbakan, una minaccia più grande del PKK, già all’epoca considerata un’organizzazione terroristica. L’escalation di tensioni istituzionali giunse al suo apice nel febbraio del 1997.

Il 28 febbraio, quando le tensioni raggiunsero l’apice, non fu sparato un solo colpo. Bastò la presentazione di un memorandum alla riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale, composto da cinque figure del mondo politico e cinque militari, a far sgretolare il governo del Welfare Party. Il memorandum presentava un ultimatum contenente le richieste, ben note, dei militari: messa al bando delle organizzazioni islamiste, chiusura di numerose scuole religiose, licenziamento degli insegnanti ritenuti troppi radicali. Una vera e propria purga laica che venne portata avanti dal governo successivo.

Come conseguenza di queste pressioni Necmettin Ekbaran diede le dimissioni il 18 giugno dello stesso anno. La Corte Costituzionale bandì il Welfare Party dalla politica, accusandolo di incostituzionalità. Il leader e vari altri dirigenti dovettero dire addio alla politica attiva, mentre la caccia agli islamisti coinvolse gli ambienti militari stessi e le loro famiglie. Migliaia di persone persero il lavoro o passarono del tempo in carcere. Ma non vi fu alcuna vittima.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- Breve biografia di Ekbaran: https://www.independent.co.uk/…/necmettin-erbakan-politicia…

- 20 anni dal golpe ‘postmoderno’: https://www.youtube.com/watch?v=oTGie9KvJpc