di Gabriele Pato

PABLO ESCOBAR E IL NARCOTERRORISMO

«A volte sono Dio: se dico che un uomo muore, quello muore il giorno stesso»

(Pablo Escobar)

Durante gli anni Settanta del Novecento, i narcotrafficanti colombiani poterono esercitare il proprio potere senza incontrare grossi ostacoli. Grazie alla connivenza di una parte della classe politica e delle forze di sicurezza, questi erano in grado di manipolare il paese a proprio piacimento, accumulando enormi ricchezze e grande influenza nei piani alti del potere. A partire dalla prima metà degli anni Ottanta, con i governi presieduti da Betancourt, Barco e Gaviria, la situazione mutò e la lotta tra Stato colombiano e trafficanti si fece serrata, fino a trasformarsi in qualcosa di molto simile ad una guerra civile che perdurò fino all’uccisione di Pablo Escobar, nel dicembre 1993.

Le radici del conflitto tra Stato e cartelli risalgono al 1982, quando Pablo Emilio Escobar Gaviria – già noto per l’attivismo sociale e per le sue opere di bene, ovviamente volte a nascondere i traffici illeciti – fu eletto alla Camera dei Rappresentanti, la camera bassa del Congresso colombiano. Dopo pochi mesi, però, grazie alle inchieste del periodico liberale El Espectador e alle accuse mosse da una parte del mondo politico, in particolare dal Ministro della Giustizia Rodrigo Lara Bonilla, Escobar venne privato dell’immunità parlamentare, ripudiato dal Parlamento ed indagato da un’apposita commissione nonché dai tribunali ordinari. In risposta, il 30 aprile 1984 Rodrigo Lara Bonilla venne ucciso a sangue freddo da due sicari. Durante i funerali di Stato, il Presidente della Repubblica Betancourt comunicò che la Colombia aveva ufficialmente riattivato il Trattato di Estradizione con gli Stati Uniti, in modo che i narcotrafficanti ricercati dalla CIA potessero essere giudicati dalla giustizia statunitense. Questo era ciò che i cartelli più temevano e, di conseguenza, il cambio di politica venne recepito come una dichiarazione di guerra a cui rispondere colpo su colpo. Per reagire alla repressione, i principali esponenti del cartello di Medellin, insieme ad altri gruppi di narcos, fondarono l’organizzazione chiamata Los Extraditables (“Gli Estradabili”) che, con animo di aperta sfida alle istituzioni, si proponeva di cambiare le leggi sulle estradizioni attraverso tutti i mezzi disponibili: minacce e violenza, corruzione, ma anche propaganda e controllo dell’opinione pubblica.

Nel novembre ’84 organizzarono il primo attentato, un’autobomba nei pressi dell’ambasciata USA a Bogotà, che uccise una persona. Nel giugno ’85 ordinarono l’omicidio di Tulio Manuel Castro Gil, il giudice che indagava sull’assassinio del ministro Lara Bonilla. A novembre dello stesso anno, il gruppo marxista M-19 assaltò il Palazzo di Giustizia della capitale, causando 91 morti nel conflitto a fuoco contro l’esercito. Nonostante ciò sia sempre stato negato dai marxisti-rivoluzionari, numerose fonti testimoniano come l’insurrezione fosse stata finanziata dai Los Extraditables. Da questo momento, cominciò una guerra senza quartiere che provocò diverse migliaia di morti: si calcola che nell’anno 1986, soltanto nella città di Medellin, siano avvenuti almeno 3500 omicidi, mediamente oltre duecento ogni settimana.

Nei sette anni successivi, l’escalation di violenza raggiunse soglie inimmaginabili: sempre nel 1986 vennero assassinati volti noti del partito di governo Unión Patriótica, il direttore de El Espectador, il Procuratore Generale della Nazione. Tra 1988 e 1989 vennero uccisi centinaia di militanti dell’UP e del Partido Liberal, tra cui il candidato alla presidenza della repubblica Luis Galán, nonché varie decine giornalisti in tutto il paese. Dal 1989, Escobar promise una ricompensa di 2'000’000$ per chi avesse ucciso un poliziotto nella città di Medellin: questo portò alla morte di oltre 300 agenti in pochi mesi. Fu proprio in questo periodo, nella seconda metà del 1989, che il narcoterrorismo raggiunse il proprio zenit: tra agosto e dicembre 88 ordigni furono fatti esplodere in piazze, banche, sedi di partiti politici, edifici pubblici e case private, hotel e centri commerciali in tutte le principali città della Colombia.

Il 27 novembre il volo Avianca 203, appena decollato da Bogotà verso Calì, venne fatto saltare in aria, uccidendo 110 vittime innocenti e mancando quello che era il bersaglio dell’attentato, il candidato alle elezioni presidenziali Cesar Gaviria, il quale aveva perso il volo. L’esplosione provocò la morte di due cittadini statunitensi e questo convinse il presidente Bush ad intervenire direttamente in Colombia con un’operazione di intelligence per catturare Pablo Escobar. Meno di dieci giorni dopo, il 6 dicembre, un bus-bomba caricato con 500kg di dinamite venne lanciato contro l’edificio del DAS, i servizi segreti colombiani, uccidendo 104 persone. Nell’anno successivo, Los Extraditables proseguirono con la strategia del terrore, attraverso atti dinamitardi in luoghi pubblici, sequestri e assassinii di personalità importanti del giornalismo e della politica.


«Preferisco una tomba in Colombia che una cella negli Stati Uniti»

(Pablo Escobar)


Alla fine del 1989, il cartello di Medellin si trovava nella delicata posizione di dover gestire vari fronti contemporaneamente: era in guerra contro lo Stato colombiano e contro l’intelligence americana, ma allo stesso tempo un conflitto senza quartiere con il cartello di Calì e contro i così detti Pepes – “Perseguidos por Pablo Escobar” - ex narcotrafficanti organizzati in gruppi paramilitari che temevano la sua vendetta. Probabilmente anche a causa dell’enorme difficoltà del cartello di Medellin nel gestire un conflitto contro tanti vari nemici, l’offensiva del Bloque de Busqueda (unità di polizia d’élite colombiana creata per la lotta al narcoterrorismo), sortì i primi effetti: in poco tempo venne catturato Carlos Lehder e venne ucciso, in uno scontro a fuoco, Gonzalo Gacha. Entrambi erano tra i membri più importanti del cartello di Medellin. Così, tra 1990 e 1991, Pablo Escobar stipulò un sorprendente accordo con il presidente Gaviria: per non essere estradato negli Stati Uniti, il narcotrafficante offriva di essere incarcerato in una prigione di sua proprietà, chiamata “La Catedral”. Questo carcere, dove rimase teoricamente imprigionato per poco più di un anno, si rivelò presto essere sostanzialmente una dimora di lusso dotata di ogni comfort – piscine, bar, campi da tennis e da calcio – in cui Escobar organizzava feste ed incontri legati al business del narcotraffico, durante i quali fece persino assassinare diversi soci del cartello.

A causa di ciò, nell’estate 1992, il governo decise di trasferirlo in una prigione militare per poi estradarlo negli USA. Data la corruzione dei funzionari, la notizia arrivò presto all’orecchio di Escobar, che fuggì dalla Catedral insieme ai suoi uomini più fidati il 22 luglio, sfondando un muro appositamente costruito in cartongesso. Nei mesi successivi il Bloque de Busqueda catturò ed uccise tutti gli uomini più importanti del cartello di Medellin, mentre i Los Pepes iniziarono ad attaccare sistematicamente le proprietà di Escobar, i suoi avvocati, persone che lavoravano per lui e persino suoi amici e familiari. Il narcotrafficante tentò di difendersi con il mezzo che aveva prediletto fino a quel momento, gli attentati: il più grave avvenne il 30 gennaio 1993, quando una bomba nel centro di Bogotà uccise 25 persone e nei mesi successivi altre nove esplosioni causarono oltre cento morti.

Nonostante questa ultima escalation di violenza, Escobar era ormai alle strette: praticamente tutti i suoi amici, collaboratori e familiari erano stati arrestati, uccisi o erano in fuga. Gran parte dei suoi beni era stato sequestrato, mentre corpi d’élite colombiani e statunitensi, oltre ai cartelli rivali e ai gruppi paramilitari, lo cercavano “vivo o muerto no importa”. Infine, il 2 dicembre 1993, venne trovato e ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia di Medellin, coordinata dalla CIA nelle operazioni di localizzazione. Con la fine di Escobar, si ebbe la fine del cartello di Medellin e del narcoterrorismo, ma certamente non la fine della violenza legata all’intreccio tra politica e narcotraffico. Il cartello di Calì, che da quel momento in poi prese le redini del traffico di droga, gruppi paramilitari quali le FARC, l’ELN o l’AUC proseguirono nelle loro lotte sanguinarie, mantenendo la Colombia un paese pericoloso ed instabile.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- M. Bowden, “Killing Pablo – Caccia al signore della droga”, Rizzoli, 2017.

- J.P. Escobar, “Pablo Escobar – Il padrone del male”, Newton Compton, 2017.

- Intervista a Pablo Escobar: https://www.youtube.com/watch?v=xBpsYWS3ofY