L'ultraliberismo nel Cile di Pinochet

MARCO BERTUCCIO

L’ULTRALIBERISMO NEL CILE DI PINOCHET

Il golpe militare dell’11 settembre 1973 segnò la fine dell’esperienza democratica cilena e l’inizio di quella che si può definire, data la sua più che ventennale durata, una vera e propria nuova era segnata dalla dittatura del generale Augusto Pinochet. Un’epoca caratterizzata da brutali metodi repressivi e scelte quanto meno discutibili in materia economica.

Il sistema di repressione e terrore messo in piedi dalla junta militar aveva l’obbiettivo di radere al suolo la democrazia rappresentativa sostituendola con un regime controrivoluzionario dotato di un ben preciso progetto socio-economico: l’abbattimento delle divisioni di classe e la creazione di una democrazia “protetta”, basata in tutto e per tutto sul modello economico neoliberista. A supporto di questo scopo già alla fine del 1973 venne creata una nuova polizia segreta, la DINA (Direccion de Intelligencia National) con il compito di “sterminio totale del marxismo”, oscura protagonista di molte sparizioni, incarcerazioni e assassini perpetrate a scopi politici e sociali dal regime. Dal punto di vista economico, l’esperienza cilena rappresentò un laboratorio perfetto per quel gruppo di economisti, monetaristi e ultraliberisti, raccolti intorno alla figura di Milton Friedman, erede intellettuale di Von Hayek, e noti come “Chicago Boys”.

I Chicago Boys, chiamati ad assumere il ruolo di consulenti economici della junta, utilizzarono il Cile come primo banco di prova delle loro teorie. Il Cile divenne quindi l’avanguardia di quel processo neoliberista che avrà inizio in Occidente a partire dagli anni ’80, sotto la spinta del Regno Unito di Margaret Thatcher e degli Stati Uniti di Ronald Raegan.

Sintetizzando al massimo, il modello neoliberista prevede che il ruolo centrale, di motore, dell’economia venga assunto dal mercato. In tale visione esso, capace di autoregolarsi, deve essere lasciato libero di agire, riducendo al minimo ogni tipo di interferenza statale. Il mercato diviene quindi l’unico soggetto atto a sostenere la crescita di un paese.

Tornando al Cile, il “lavoro sporco” lo svolse l’esercito, spazzando via libertà politiche e mediazioni istituzionali, e instaurando il modello economico neoliberista propugnato dai Chicago Boys. La prima fase del progetto della junta fu caratterizzata dall’abbattimento del ruolo statale nell’economia, attraverso lo smantellamento delle imprese pubbliche, la denazionalizzazione di settori strategici (rame escluso), la privatizzazione di numerose imprese e la netta riduzione della spesa pubblica. Questo volle dire l’abolizione dei sussidi statali alle imprese, la riduzione della spesa per l’istruzione (ora decentrata ai municipi) e il taglio al sistema pensionistico e sanitario. Le erogazioni statali assunsero la forma di “future”, ovvero un risparmio forzoso a carico del contribuente, in una misura pari al 20% delle retribuzioni medie. Le risorse così raccolte vennero affidate alla gestione di fondi d’investimento privati. A tutto ciò si accompagnò un generale processo di liberalizzazione del mercato del lavoro, dei capitali e dei prezzi, oltre che la soppressione delle attività sindacali. Fu inoltre facilitato il rimpatrio dei profitti delle multinazionali e delle imprese straniere, in modo da attrarne gli investimenti.

Interessante notare il cambio di rotta degli Stati Uniti, tornati ora, dopo la fase Allende, a sostenere sia politicamente, sia economicamente il Cile. Vari furono gli sforzi attuati in modo da migliorare l’immagine del regime all’estero, oltre che la riapertura dei “rubinetti” economici chiusi durante la fase politica precedente. FMI, Banca Mondiale e l’Export-Import Bank, oltre che vari istituti finanziari statunitensi, iniziarono di nuovo a concedere prestiti al Cile.

Quali conseguenze comportò questo cambio di rotta in politica economica? La prima cosa a cui si assistette fu una netta pauperizzazione di vasti settori sociali dovuto al crollo dei salari reali (-50%), e ad un aumento della disoccupazione che passò dal 3,1% del 1972 al 28% del 1983. Chiaro emblema di questa situazione, fu l’aumento del numero di persone che vivevano sotto la linea di povertà, passate da un 17% del 1970 ad un 38% nel 1987. L’abolizione dei sussidi statali alle imprese portò ad una recessione agricola e industriale nazionale, tanto che la domanda interna venne soddisfatta facendo massicciamente ricorso alle importazioni. Il deficit commerciale che si venne creando fu coperto tramite la privatizzazione delle imprese statali e l’esportazione di materia prime.

Se non altro l’inflazione vide un netto calo, dal 60% del 1973 all’8.9% del 1981, e il debito pubblico crollò, aumentando invece quello privato (nel 1982 le proporzioni tra debito privato e pubblico erano di 62% del primo contro il 39% del secondo, mentre nel 1973 il debito pubblico rappresentava l’83.8%). Dopo la fase espansiva del 1974-1980, nel 1982 l’economia cilena iniziò a vacillare, arrivando ad avere un PIL negativo. Gli alti tassi d’interesse sui debiti voluti da Reagan, combinato con il deficit commerciale e finanziario, portò la junta a svalutare il peso e nazionalizzare le banche, trasferendo di fatto l’elevata quota del debito privato sulle spalle dello Stato. Inoltre si assistette ad una netta crescita delle esportazioni che, dato il divieto di contrattazione sindacale in certi settori, prometteva ampi margini di profitto senza la necessità di aumentare la produttività e la tecnologia, grazie al mantenimento di bassi salari. Passata la fase più acuta della crisi il regime cercò legittimazione politica attraverso un plebiscito, indetto nel 1988. L’esito negativo, portò a delle elezioni che videro Patricio Aylwin uscirne vincitore con il 55% delle preferenze. Pinochet, ora senatore a vita, rimaneva a capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, avendo quindi la facoltà di designare l’1/3 dei senatori e porre il veto alle decisioni del governo.

La parabola politica del generale ebbe di fatto fine solo con la sua morte nel 2006, all’età di 91 anni. Nonostante i vari arresti, di cui il primo a Londra nel 1998 con l’accusa di crimini contro l’umanità, accuse ed incriminazioni, Pinochet morì riuscendo ad evitare fino alla fine un vero e proprio processo.