La rivoluzione messicana

GIACOMO TOMMASI

LA RIVOLUZIONE MESSICANA

“Ora posso morire. Questo era ciò che desideravo: che si sappia per che cosa lottiamo, che si conosca la causa che vogliamo difendere, che vengano a vederci, ci studino e poi raccontino la verità: siamo uomini d'onore e non banditi.” (Emiliano Zapata)

A partire dal 1876 il Messico era caduto sotto il potere autoritario, trasformatosi successivamente in aperta dittatura, del generale Porfirio Díaz (1830-1915). In tale periodo il paese aveva conosciuto un processo di relativa modernizzazione economica i cui frutti erano tuttavia andati quasi esclusivamente a vantaggio delle classi alte urbane e dei proprietari terrieri, con l’esclusione delle masse popolari e in particolare dei contadini, in gran parte Indios.

Fu così che, all’inizio del XX secolo, le suddette contraddizioni della società messicana esplosero. Borghesi, operai e contadini insorsero contro il dittatore Porfirio Diaz, al potere da oltre trent’anni. A guidare l’insurrezione fu in particolare Francisco Madero, proprietario terriero di idee liberali che il 7 ottobre 1910 dall’esilio in Texas incitò il Messico alla rivolta. La scintilla si ebbe con l'appello di quest’ultimo contro la rielezione presidenziale dell'ormai anziano Diaz. Diffuse pertanto un celebre documento, noto come il Piano di San Luis, dal nome dalla città di San Luis Potosí, nel quale dichiarava che le elezioni appena conclusesi erano nulle e invitava la popolazione ad insorgere e a prendere le armi contro il governo del dittatore, in difesa del voto libero e segreto, e, con lo stesso, chiedeva una moderata riforma agraria oltre a benefici per la classe operaia in formazione.

Alla fine di novembre del 1910, dunque, scoppiarono numerose insurrezioni in tutto il paese, ciascuna con un proprio piano, guidate da numerosi e celebri comandanti come Aquiles Serdan, Pancho Villa, Emiliano Zapata e, successivamente, da Venustiano Carranza e Álvaro Obregón. La rivoluzione giunse così alla capitale nel maggio del 1911 determinando la fuga di Diaz e il successivo insediamento di Madero. Il suo governo liberale si rivelò tuttavia incapace di muoversi fra le diverse contraddizioni e rimase così paralizzato.

L’ambizione personale dei diversi capi rivoluzionari causò, anche successivamente alla formazione del governo da parte di Madero, guerre civili che si protrassero a lungo in tutto il Paese. Il nuovo presidente non ricevette, dunque, l'appoggio né dai suoi vecchi alleati (i quali sostenevano che gli obiettivi della rivoluzione non erano stati raggiunti), né dai membri del precedente regime, e fu così che nel 1913 le forze conservatrici guidate dal generale Victoriano Huerta e appoggiate dagli Stati Uniti, preoccupate anche dal fatto che le correnti rivoluzionarie più radicali, guidate da Emiliano Zapata, agitavano sullo sfondo lo spettro della riforma agraria, decisero di assassinare Madero insieme al suo vicepresidente e di prendere a loro volta il potere.

Nel novembre 1911, infatti, il dirigente contadino del sud del paese, Emiliano Zapata, aveva lanciato il c.d. “Piano di Ayala”, manifesto per la riforma agraria, che divenne simbolo della lotta per la terra in tutta l'America latina.

Contro Huerta mossero allora le truppe dei generali Venustiano Carranza e Álvaro Obregón oltre alle formazioni irregolari di Emiliano Zapata e Francisco (Pancho) Villa, che sconfissero Huerta costringendolo a lasciare il Messico nel 1914. Il conflitto accese l'intero paese. Nel nordest comandava il rivoluzionario Pancho Villa, mentre nel nordovest si distingueva Alvaro Obregón e nel sud Zapata continuava la guerriglia con i suoi contadini. L'opposizione era egemonizzata dai settori borghesi nazionali che avevano il loro leader in Venustiano Carranza, autonominatosi primo capo dell'esercito rivoluzionario. Nell'agosto 1914, come detto, i contadini di Zapata e Villa entrarono nella capitale e Huerta fuggì all'estero.

Nell'autunno 1914 si celebrò ad Aguascalientes una convenzione tra le differenti fazioni rivoluzionarie che però non riuscirono a trovare l'accordo. Zapata fu presente alla successiva convenzione aguascaliense, che adottò il “piano di Ayala” ed elesse Eulalio Gutiérrez presidente provvisorio. I gruppi di Pancho Villa e Zapata accettarono la convenzione; non il gruppo del generale Venustiano Carranza e questo provocò la prosecuzione della guerra civile. In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresentava la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrarono trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della Vergine di Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Fu in quei giorni che Zapata rifiutò di sedersi sulla poltrona presidenziale: “Non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano”.

Carranza fu nominato presidente il 1º maggio 1915, ma dopo il fallimento della Convenzione di Aguascalientes e i dissensi con gli eserciti del nord, guidati da Pancho Villa, e con quelli del sud, guidati da Emiliano Zapata, iniziò a combatterli, provocando di fatto la prosecuzione della guerra civile. Egli formò, infatti, un governo costituzionalista, inteso a dare al paese una costituzione e la libertà politica e a inaugurare un corso di riforme sociali. Villa e Zapata, invece, scelsero di continuare la lotta con l’obiettivo di dare la terra ai contadini poveri. Il Messico piombò così nel caos. Le masse popolari si divisero: mentre gli operai appoggiavano i costituzionalisti, i contadini poveri seguivano Zapata e Villa. Quest’ultimo riuscì in seguito ad assicurarsi il controllo dello Stato di Chihuahua dove, con l'aiuto di Zapata, continuò a fomentare la rivolta contadina.

Nel 1917 Carranza varò una costituzione assai avanzata che sanciva la laicità dello Stato, il matrimonio civile, la sottrazione dell’insegnamento primario alla Chiesa cattolica, la nazionalizzazione delle miniere, l’avvio della riforma agraria, i diritti politici e civili, il carattere legale dei sindacati. Il che però non valse ad assicurare la pace interna. Zapata, rimasto su posizioni radicali, venne assassinato nel 1919, su mandato dello stesso Carranza, il quale a sua volta cadde vittima di un attentato nel 1920 nel corso della ribellione portata avanti da Álvaro Obregón. Villa, che in seguito all'ascesa alla presidenza di Obregon depose le armi ritirandosi nella hacienda di Canutillo a lui assegnata dedicandosi alla vita da proprietario terriero, il 10 luglio del 1923, mentre viaggiava sulla sua auto nella vicina Parral, venne a sua volta ucciso da un gruppo di assassini che cominciarono a sparare da alcune finestre in direzione della sua auto.

Tra il 1920 e il 1924 la presidenza venne retta da Obregón e tra il 1924 e il 1928 dal generale Plutarco Elías Calles. Nel 1928, subito dopo la sua rielezione a presidente, Obregón cadde sotto i colpi di un fanatico cattolico.

Queste terribili vicende storiche, nelle quali oggi si stima che siano morte più di 900.000 persone tra civili e militari permisero tuttavia di lasciare in eredità al Messico la prima costituzione al mondo capace di riconoscere le garanzie sociali e i diritti ai lavoratori uniti, oltre che di consegnare al mondo la memoria di figure come quelle di Pancho Villa ed Emiliano Zapata.