LATINOAMERICANAdi Lorenzo Bonaguro

LA GUERRA ISPANO-AMERICANA

UNA GUERRA UMANITARIA?

La guerra che coinvolse gli Stati Uniti d’America e l’Impero spagnolo viene considerata da molti storici come una svolta, una cesura tra la fine (o inizio della fine) dell’imperialismo spagnolo ed europeo e l’ascesa dell’imperialismo americano. Quando il presidente americano William McKinley (1897-1901) invocò l’intervento armato contro la Spagna, lo fece “nel nome dell’umanità” durante il suo discorso al Congresso per ottenerne l’approvazione. Questo vuol dire che tale guerra è considerabile come la prima guerra “umanitaria” della storia?

L’Impero spagnolo era sull’orlo del disfacimento, gli erano rimaste ormai poche colonie sparse per il globo, una di queste era Cuba. Tuttavia, la presa di Madrid sull’isola caraibica era insicura: da decenni vari movimenti indipendentisti sollevavano le armi nelle zone rurali e montuose, scatenando la durissima reazione del governo locale. In particolare, divenne tristemente famoso il generale Valeriano Weyler che adottò la strategia dei “villaggi strategici”, deportazioni di massa della popolazione contadina in centri abitati, nei quali morirono a migliaia a causa delle condizioni sanitarie, per togliere il sostegno ai ribelli nelle campagne.

Nel frattempo, negli Stati Uniti si era formato un forte gruppo di pressione detto “Junta” composto da decine di migliaia di esuli cubani che, sfruttando la stampa sensazionalistica, mise davanti agli occhi degli americani la crisi e le sofferenze del proprio popolo. Due degli eventi più sfruttati dalla stampa furono: la rocambolesca fuga negli States di Evangelina Cisneros, figlia di un leader ribelle, e l’affondamento, su cui esistono tuttora molti dubbi, della nave USS Maine nella baia di L’Havana a inizio del 1898.

Al contrario della Spagna, gli Usa erano una nazione florida la cui economia gareggiava con quella inglese, ma la situazione interna iniziava a preoccupare molti: la frontiera, valvola di sfogo sociale ed economico, era stata chiusa e c’era bisogno di nuovi mercati per assorbire la crescente produzione. L’unica via era abbandonare l’isolazionismo, fondato sulla “Dottrina Washington”, e iniziare una politica estera più attiva. Il problema era che la cultura americana del tempo ripudiava i metodi dell’imperialismo europeo: era opinione diffusa che gli americani avessero un “destino manifesto”, che affidava loro il compito di far trionfare la civiltà, il progresso e la libertà; ciò mal si conciliava con la logica della politica di potenza tipica degli europei. Solo gli orrori della repressione spagnola riuscirono a smuovere l’opinione pubblica.

La guerra iniziò formalmente il 25 aprile 1898 e terminò con il trattato di pace firmato a Parigi nel dicembre del 1899. Fu una guerra breve e con un costo di vite umane relativamente basso per gli Usa, al punto che le fu affibbiato il nome di “splendid little war”. Sull’isola ci furono solo due grandi battaglie: quella di San Juan, dove si distinse il futuro presidente Theodore Roosvelt, e quella navale della baia di Santiago. Nel teatro del Pacifico invece la città portuale di Manila nelle Filippine fu occupata dallo “Squadrone Asiatico” della marina statunitense; completamene indolore fu la presa dell’isola di Guam. Dal trattato di pace gli Usa ottennero l’indipendenza di Cuba e la cessione di Porto Rico, Guam e Manila.

La storiografia si divide tra chi sostiene il carattere umanitario delle guerra e chi invece lo nega: i primi sostengono la loro idea considerando le origini della decisione dell’intervento, i secondi le conseguenze dello stesso. L’opinione pubblica e la stragrande maggioranza dell’elite politica erano impregnate della mentalità isolazionista; solo gli appelli alla libertà invocata dagli esuli e le denunce delle violenze spagnole smossero gli animi degli americani. In questo, ebbe un ruolo fondamentale la stampa sensazionalistica, la cosidetta “yellow press”, come il New York Journal ad esempio. Il mondo industriale era spaccato a metà sugli eventuali costi/benefici della guerra. Al Congresso, però, vi era una piccola minoranza di interventisti che fece notevoli pressioni sul presidente McKinley, il quale, riluttante all’inizio, si fece convincere dal clima interventista ormai diffuso nel 1898. A riprova della tesi umanitaria, vi è anche l’emendamento Teller, approvato cinque giorni prima della guerra, il quale stabiliva che Cuba sarebbe divenuta un territorio completamene autonomo, anche dall’ingerenza americana. L’intervento doveva essere assolutamente disinteressato e così fu, almeno in principio.

I critici sottolineano le conseguenze della guerra: gli Usa si ritrovarono con possedimenti extracontinentali (Manila e Guam) e l’autonomia di Cuba non venne rispettata. Infatti nel 1902 fu approvato l’emendamento Platt che, abrogando quello di Teller e avendo preso atto della perdurante instabilità dell’isola, sancì il diritto di Washington a compiere ingerenze negli affari interni ed esterni di L’Havana; sempre in nome della tutela delle libertà ovviamente. Di fatto, l’isola fu ridotta a un protettorato statunitense.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- The war of 1898 : the United States and Cuba in history and historiography / Louis A.Perez, Jr

Chapel Hill; London : University of North Carolina press, 1998

- Alberto Aquarone, Le origini dell’imperialismo americano, Il Mulino, 1973