di Marco Bertuccio

IL VENEZUELA DI CHAVEZ

Il 4 Febbraio 1992 un giovane colonnello dell’esercito venezuelano tentò, fallendo, di rovesciare il presidente Pérez con un colpo di stato. “Por ahora” dirà a chi lo aveva arrestato. Il suo nome era Hugo Rafael Chávez Frías, e nessuno avrebbe immaginato cosa avrebbe rappresentato di lì a poco per il Venezuela.

A quel golpe, il Venezuela ci giunse dopo più di un decennio distruttivo per il paese, dal punto di vista sociale, economico, e politico. L’alto prezzo del petrolio durante tutti gli anni ’70, risorsa da cui dipendeva e dipende tuttora l’economia venezuelana, permise una grande crescita della ricchezza di pochi settori della società. Quando negli anni ‘80 il ciclo favorevole terminò, si optò per il varo di una rigida politica di austerità, che colpiva quella maggioranza della popolazione che nemmeno aveva giovato dei vantaggi del decennio precedente. Il tutto in un contesto politico caratterizzato dai sempre più frequenti e clamorosi scandali di corruzione e finanziari.

Al totale discredito della classe politica si aggiungeva la disastrosa situazione della società venezuelana, logorata dagli altissimi tassi di disoccupazione e da una povertà dilagante. Il tentato golpe del 1992 coronava quindi un periodo di aspra conflittualità sociale, culminata con la famosa rivolta contro il caro-vita a Caracas nel 1989 (il “Caracazo”), causando almeno 300 vittime tra i manifestanti. In questa occasione vari ufficiali, tra cui Chavez, si rifiutarono di dare l’ordine di sparare sulla folla. Questo gruppo di ufficiali era riunito, dal 1982, attorno ad una loggia denominata Movimiento Bolivariano Revolucionario 200 (in onore del bicentenario della nascita di Simon Bolivar). Da questa loggia nacque, nel 1997, il suo braccio politico, il Movimineto Quinta Republica (MVR). Ai vertici della nuova formazione politica figurava proprio Hugo Chavez. L’obiettivo fondamentale del gruppo era una rifondazione della società venezuelana ispirata da un fervente nazionalismo, dall’avversione ad una politica corrotta, dalla rivalutazione del ruolo dello Stato in economia.

A sei anni dal fallito golpe, nel 1998, Chavez venne eletto Presidente del Venezuela. Il nuovo presidente ribadì immediatamente il compito dello Stato di realizzare misure di giustizia redistributiva, di nazionalizzare i servizi, le risorse, la terra. Chavez chiamò fin da subito la società a dinamiche di partecipazione e mobilitazione dirette, proponendo la democrazia partecipativa-plebiscitaria come fase superiore alla democrazia rappresentativa, giudicata fallimentare. Nel 1999 fece approvare una nuova Costituzione e, nel 2000, con la Ley Habilitante, si mise in condizione di emanare decreti riguardanti materie urgenti e strategiche. Venne così inaugurato una sorta di “decretismo” presidenziale, legittimato dalle continue consultazioni di stampo plebiscitario.

Due furono i settori in cui Chavez decise subito di intervenire: quello agricolo e quello petrolifero. Nel 2000 fu varata la prima Ley de Tierras, che mirava a ridimensionare il peso dei latifondi e a distribuire la terra ai piccoli coltivatori. Inoltre le precedenti occupazioni delle terre incolte furono legalizzate e lo Stato si fece carico di supportare materialmente e finanziariamente gli occupanti. Nel giugno del 2001 fu varata la Ley de Hidrocarburos, che attribuiva allo Stato la sovranità assoluta non solo del sottosuolo, ma anche della prospezione, estrazione e raffinazione del greggio. Le imprese private erano ammesse, ma il 51% della proprietà spettava allo Stato, che aveva facoltà di rilasciare licenze di prospezione ed estrazione non superiori ai 25 anni e si riservava la raffinazione in installazioni proprie. Dal punto di vista sociale il governo puntò molto sulle cosiddette “misiones” volte a provvedere i quartieri più poveri di assistenza sanitaria, istruzione, di prezzi politici dei beni alimentari e di piccolo credito accordato alle attività artigianali. Il presidente venezuelano fece sue le rivendicazioni delle classi subalterne instaurando un rapporto diretto con esse e occupandosi della loro integrazione nella vita nazionale. Questa rappresentò sempre la base del suo consenso.

Tuttavia, la totale assenza di una visione interclassista atta ad includere i ceti medio-alti, gli alienò del tutto questi ultimi. Chavez rifiutò ogni compromesso con questo spaccato della società, cosa che minò alla base il richiamo all’unità insito nella sua retorica nazionalista. Questa opposizione tanto incerta quanto articolata, destituì il presidente con un colpo di stato militare nel 2002. Il 14 aprile, in seguito a grandi manifestazioni popolari sostenute da buona parte dell’esercito, Chavez venne liberato da un commando dopo solo due giorni di prigionia, e rimesso alla guida del Paese.

Nel 2004 formò con Cuba l’ALBA (Alternativa Bolivariana para las Americas), un progetto di collaborazione politica, sociale ed economica con forti tratti antimperialisti, a cui in seguito si aggiungeranno Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Perù. Riconfermato nel 2006, Chavez accelerò la radicalizzazione delle sue politiche annunciando il passaggio al “Socialismo del XXI secolo”. L’anno dopo un referendum rigettò la nuova Costituzione che gli avrebbe permesso la rielezione senza limiti di mandati consecutivi. L’ostacolo venne raggirato 2 anni più tardi, facendo ratificare un emendamento in merito dal Parlamento.

Più che da un’opposizione frammentata, tenuta insieme solo dal sogno di abbattere il Presidente, il potere di Chavez e del suo nuovo partito (il Partido Socialista Unido de Venezuela, fondato nel 2008) fu minacciato dal peggioramento della salute del presidente nel 2011. Nel frattempo si palesarono le contraddizioni insite nella sua politica. La lotta contro la povertà e la disoccupazione sembrava aver dato i suoi frutti: dal 1999 al 2011 la povertà assoluta calò dal 50% al 31%, e la disoccupazione scese dal 16 all’8%. Il 93% dei bambini frequentava ora la scuola elementare, l’indigenza era calata dal 20 all’8,5%, ed erano stati creati 2 milioni di alloggi popolari. Ma la prassi clientelare di gestione del potere pubblico non intaccò, e anzi forse accentuò la corruzione oltre che causare gravi episodi di inefficienza amministrativa. L’abnorme aumento della spesa pubblica venne indirizzato solo verso misure assistenziali, senza seguire un reale programma di sviluppo economico. Il calo produttivo costrinse ad utilizzare ancora la maggior parte dei ricavi petroliferi per finanziare le importazioni. L’inflazione crebbe pesantemente mentre nel paese aumentò vertiginosamente la violenza e la criminalità.

Nonostante tutto, le elezioni del 2012 confermarono Chavez alla presidenza. Il tumore che lo avevo colpito non gli permise però di iniziare quest’ultimo mandato. Nel 2013 Chavez morì e a succedergli era pronto Nicolas Maduro.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

http://www.limesonline.com/venezuela-crisi-storia-ch…/110894

http://www.rai.it/…/ContentItem-0d344f46-3dd6-401f-94f2-2e0…