di Marco Bertuccio

IL REGIME MILITARE IN BRASILE

Il 31 marzo 1964 un colpo di Stato militare guidato dal generale Humberto de Alencar Castelo Branco metteva la parola fine alla presidenza di Joao Goulart, ultimo interprete dell’Estado Novo, a sua volta subentrato al brevissimo governo progressista di Jânio da Silva Quadros.

La prima riforma inaugurata dal regime nel 1965 fu lo scioglimento di tutti i partiti e la creazione di un bipartitismo artificiale, costituito dall’Aliança Renovadora Nacional (ARENA), che rappresentava il partito di governo, e il Movimento Democrático Brasileiro (MDB), l’unica opposizione tollerata. All’interno del regime vigevano due anime: una moderata, che perseguiva un modello di democrazia protetta, in cui le Forze Armate avrebbero dovuto esercitare il controllo su un esecutivo civile da rispristinare nel medio periodo, e una intransigente, che mirava ad una gestione diretta del potere sul lungo periodo e politiche di governo ben più autoritarie. Nel corso dei 21 anni di dittatura le due anime si alternarono alla guida del Paese, a seconda del mutamento dei rapporti di forza nelle gerarchie militari.

Nonostante il Parlamento non fosse ufficialmente sciolto, questo fu svuotato di ogni potere effettivo in favore del Presidente della Repubblica, scelto, ovviamente da un collegio militare e non più direttamente dai cittadini. Il fulcro del nuovo assetto politico furono una serie leggi straordinarie che avevano valore di emendamenti costituzionali, noti come Atos Institucionais (AI), che istituzionalizzarono il regime. Il più noto, l’AI-5, sospendeva il diritto di voto ed i sindacati, proibiva la libertà d’espressione e di società in ambito politico, consentiva al Presidente di sciogliere qualsiasi organo elettivo, di annullare mandati parlamentari, di sospendere garanzie giuridiche e, soprattutto, di negare l’habeas corpus (il principio che tutela l'inviolabilità personale).

Dal punto di vista economico i militari brasiliani optarono per un piano di modernizzazione volto a promuovere un processo di sostituzione delle importazioni e di diversificazione produttiva. La strategia venne portata avanti favorendo l’impiego di capitale privato e di quello estero, ma incrementando contemporaneamente la presenza dello Stato in economia con investimenti enormi in determinati settori. La crescita fu senz’altro eccezionale, evidente in particolar modo nel periodo 1969-1973, segnato da un’impennata del PIL dell’11% annuo, scarsa inflazione e crescita del settore industriale. L’andamento positivo dell’economia portò al regime un certo consenso nei ceti medi e alti, tra i quali molti chiusero più di un occhio sul terrorismo di Stato messo in atto dal regime.

Ma quali furono i costi della crescita? I sindacati furono liquidati o sottomessi, gli scioperi proibiti, i salari crollarono, la distribuzione del reddito toccò vette di diseguaglianza mai raggiunte, e la disoccupazione non diminuì. L’analfabetismo rimase profondamente radicato, così come la denutrizione e la marginalità urbana. Inoltre, il servizio sanitario pubblico fu praticamente abbandonato dallo Stato. In breve, la crescita economica si basò sulla rinuncia a politiche di welfare. Già dal 1968 comunque si registrarono vasti movimenti di opposizione da parte della società civile, nonché una presa di coscienza da parte della Chiesa. La risposta fu l’inasprimento della repressione, in particolare sotto la presidenza di Emilio Garrastazu Medici, capo del Serviço Nacional de Informaçones, che tra il 1969 e il 1974 instaurò un vero e proprio regime di terrore. Ogni ministero, impresa statale e università aveva uffici del SNI, che nel 1980 contava ben 250.000 agenti. La durezza del regime portò allo sviluppo di gruppi di resistenza armata, tra i quali il movimento dell’Araguaia rimane il più famoso.

La crisi internazionale del petrolio, l’alto tasso di inflazione e la crescita spropositata del debito estero furono i problemi che dovette affrontare il successore di Medici, Ernesto Beckmann Geisel. Il nuovo presidente avviò un processo di lenta e graduale liberalizzazione, cercando di raggiungere l’obiettivo iniziale dell’ala moderata, una limitata democrazia protetta. L’apertura, per quanto timida, consentì una ripresa della partecipazione civile, segnata da mobilitazioni studentesche, lotte contadine, rinascita di sindacati creati dai lavoratori e duri scioperi. Stanca delle continue violazioni dei diritti umani e dell’onnipresenza militare, la società brasiliana stava alzando la testa. Nel 1979, Geisel passò il testimone a João Baptista de Oliveira Figueiredo, il quale continuò il processo di apertura, consentendo il ritorno di oltre diecimila esiliati. Le ultime elezioni indirette della storia brasiliana si tennero nel 1984, segnate da imponenti manifestazioni a sostegno di elezioni dirette. Vinse Tancredo Neves, primo presidente civile dal 1964. Nel 1985 la parabola del regime si concluse ufficialmente. Durante gli anni di dittatura, almeno 20.000 persone furono imprigionate e torturate, tra queste la futura presidente Dilma Roussef. Inoltre, secondo i dati ufficiali, ritenuti troppo esigui da varie organizzazioni per i diritti umani, almeno 434 persone scomparvero nel nulla per mano militare.

LETTURE E APPROFONDIMENTI

- L.C. Cardoso, “L’immaginario politico delle memorie”: https://journals.openedition.org/diacronie/3977

- A cinquant’anni dal golpe il Brasile, intervista a a Simona Bottoni, ricercatrice ISAG: https://www.youtube.com/watch?v=_4ffkfp6zgE