IL PERÙ DI FUJIMORI


LATINOAMERICANAMARCO BERTUCCIO

Il 28 luglio 1990, all’età di 42 anni, l’ingegnere agrario di origini giapponesi Alberto Fujimori viene sorprendentemente eletto presidente del Perù. Se durante le elezioni in pochi credevano in una sua vittoria, in ancora meno potevano immaginare di trovarsi di fronte ad uno dei più discussi presidenti latinoamericani del decennio.

Anche per il Perù, gli anni Ottanta avevano rappresentato un periodo di ritorno alla democrazia, ma anche di gravi problemi economici, dovuti alla pesante eredità lasciata dal regime militare. La década perdida peruviana era caratterizzata dall’insostenibilità del debito estero, dal crollo degli investimenti e dell’occupazione, e, soprattutto, dall’inflazione. Ai problemi economici si sommavano le crescenti tensioni sociali, infiammate dalle azioni di guerriglia della formazione politico-militare di ispirazione maoista Sendero Luminoso. Il conflitto tra lo Stato e Sendero Luminoso si fece sempre più serrato, tanto che intere regioni vennero occupate militarmente, con tremende conseguenze per la popolazione locale.

Nonostante le misure atte a ridurre il debito (il 10% degli utili ricavati dal totale dell’export sarebbero stati impegnati nel servizio del debito) e a riattivare il sistema produttivo (aumento delle retribuzioni e sostegno all’industria) la situazione stentava a decollare. Il presidente dell’APRA (Alianza Popular Revolucionaria Americana) Alan Garcia si vide così costretto, già nel 1987, a nazionalizzare le banche e a emanare provvedimenti volti a scoraggiare l’esportazione di capitali, dando così al fronte neoliberista capitanato dal futuro Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa un’arma con cui compattare la destra in vista della vicina tornata elettorale. Tra l’insurrezione guerrigliera di Sendero Luminoso, e una situazione economica disastrosa, il contesto in cui si svolsero le elezioni del 1990 era tutt’altro che roseo. La corsa alla presidenza sembrava per lo più una lotta a due tra il leader dell’APRA e Vargas Llosa, ma se il fallimentare operato di Garcia era sotto gli occhi di tutti, le politiche di austerity proposte da Llosa spaventavano gran parte della popolazione. In questo modo si inserì nella lotta l’outsider Fujimori, che, con fare al dir poco populista, riuscì a convogliare su di sé i voti della rabbia nei confronti della precedente gestione e la diffidenza verso le promesse elettorali di Llosa. Fu così che, dopo il 24% del primo turno, Fujimori e il suo movimento “Cambio 90” vinsero al ballottaggio contro Vargas Llosa con il 56% delle preferenze.

Fujimori decise fin da subito di affrontare di petto le due questioni più spinose che affliggevano il paese: il dissesto economico-finanziario; e la guerriglia di Sendero Luminoso. Sul fronte economico “el Chino”, come veniva soprannominato, attuò una serie di interventi che si rivelarono ben più drastici di quelli proposti da Vargas Llosa in campagna elettorale. Il “Fujishock” comportò drastiche misure per contenere i prezzi e svalutare la moneta, arrivando a coniarne una nuova il “Nuevo Sol peruviano”. Gran parte del sistema produttivo peruviano venne inoltre privatizzato. Se le misure servirono sicuramente a diminuire l’iperinflazione peruviana, d’altro canto colpirono direttamente il “benessere” di ampie fasce della popolazione. La svalutazione della moneta comportò la svalutazione di salari già di per sé non molto alti e il prezzo di beni e servizi primari (dal pane all’acqua e il gas) aumentò vertiginosamente. Per quello che concerne la lotta a Sendero Luminoso, Fujimori si dimostrò particolarmente duro. Il presidente non si limitò a coinvolgere più intensamente i servizi segreti (Servicio de Inteligencia Nacional) e il suo capo Vladimiro Montesinos, nelle operazioni anti-terrorismo, ma promosse la formazione e l’attività di veri e propri gruppi paramilitari di cui “Grupo Colina” è solo il più tristemente noto. Questi squadroni della morte si macchiarono di orribili crimini tra cui il più famoso è ricordato come il massacro di Barrios Altos, in cui circa 15 innocenti tra cui un bambino di 8 anni, erroneamente identificati come membri di Sendero Luminoso, persero la vita. Per l’appoggio indiretto dato a questi gruppi, Fujimori fu in seguito accusato di crimini contro l’umanità. In questo periodo venne comunque catturato uno degli storici leader del movimento, Abimael Guzman. La durezza delle politiche economiche e la spregiudicatezza della lotta contro il terrorismo, incontrarono la ferma opposizione del Parlamento, in maggioranza costituito da membri dell’APRA e del Frente Democratico. Fu così che nel 1992, per ovviare a questo “problema”, Fujimori attuò quello che è stato definito come un “autogolpe”: il 13 novembre un gruppo di militari guidati da Jaime Salinas Sedó tentarono di destituire Fujimori. Il golpe non ebbe però esito e gli autori vennero immediatamente arrestati. Il presidente ne approfittò per sciogliere il Parlamento, sospendere l’attività della magistratura e convocare una costituente che avrebbe dato, nel 1993, al Perù una nuova Costituzione.

Nel 1995 Fujimori venne rieletto. Nello stesso anno scoppiò un breve conflitto con l’Ecuador per motivi territoriali che si concluse con il Trattato di Brasilia. Durante il suo secondo mandato Fujimori inasprì il suo governo, proseguendo con nuovo vigore le politiche già intraprese. Inoltre portò avanti una massiccia campagna di controllo della crescita demografica con l'obiettivo di diminuire il numero delle nascite nelle aree povere del Perù, durante la quale circa 331.600 donne, principalmente indigene, furono obbligate direttamente o indirettamente ad essere sterilizzate. Tutte le attenzioni del presidente erano però rivolte alle future elezioni del 2000, in cui, secondo la Costituzione, egli non si sarebbe potuto ripresentare. Dopo aver dichiarato invalida ai fini del conteggio la sua prima elezione, poiché avvenuta sotto la vecchia Costituzione, Fujimori si ripresentò e venne eletto una terza volta.

Fu solo a questo punto che la parabola di Fujimori si concluse. Subito dopo la sua elezione, infatti, venne alla luce uno scandalo di corruzione che coinvolse il suo braccio destro, Vladimiro Montesinos. Inoltre, i crimini contro l’umanità commessi durante i suoi mandati dagli squadroni della morte e le relazioni tra questi ultimi e il duo Fujimori-Montesinos arrivarono alla conoscenza del grande pubblico. Impaurito dall’eventualità di un processo, Fujimori si rifugiò in Giappone, paese che gli concesse la cittadinanza per ius sanguinis e che rifiutò la sua estradizione. Il 7 novembre 2005 Fujimori venne però arrestato in Cile, paese in cui si trovava con l’obiettivo di ripresentarsi alle elezioni peruviane del 2006. Condannato a 25 anni nel 2009, contro di lui sono ancora in corso diversi processi. Molto scalpore ha fatto la sua scarcerazione per motivi umanitari nel dicembre 2017 seguita dagli arresti domiciliari e dal divieto di espatrio, in un paese ancora diviso tra chi lo vede come un salvatore e chi come un despota.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- The Fujimori Legacy: The Rise of Electoral Authoritarianism in Peru, Julio F. Carrión, PSU Press, 2006.

- https://www.britannica.com/biography/Alberto-Fujimori

- Storia dell’america latina, D. Pompejano, Mondadori, 2012.