il massacro dei bananieri

di Lorenzo Bonaguro

«Ho l’onore di riferire … che il numero totale di scioperanti uccisi dalle autorità militari colombiane durante le recenti sommosse oscilla fra i cinque e i seicento»

Ambasciata statunitense di Bogotà al Segretario di Stato Kellogg.


All’inizio del XX secolo la Colombia viveva un grande processo di industrializzazione grazie all’afflusso di capitali provenienti dall’Europa e soprattutto dagli Stati Uniti d’America. Gli investimenti non riguardavano solo i settori legati allo sfruttamento delle materie prime, ma anche dell’agricoltura. In particolare, erano molto profittevoli le piantagioni di cacao, tabacco, caucciù e banane. Il governo colombiano, interessato ad attrarre sempre più capitali, non si faceva problemi sulle condizioni di vita dei lavoratori, i quali lavoravano nelle stesse condizioni del periodo coloniale, quasi come schiavi. Il cambiamento economico condusse a quello sociale: da un lato una borghesia imprenditoriale conservatrice e legata al capitale straniero, dall’altro una classe operaia influenzata dal successo della recente Rivoluzione d’Ottobre sempre più attiva nel reclamare i propri diritti.

La United Fruit Company era una delle tante compagnie americane che beneficiavano da questo stato di cose. Questa aveva ricevuto così tanti privilegi dal governo colombiano che i territori - compresi nel Dipartimento della Magdalena zona affacciata sul Mare dei Caraibi - che gestiva costituivano di fatto uno stato separato da quello di Bogotà, secondo i critici. Ad esempio, i bananeros non venivano pagati con denaro ma con buoni pasto da usare esclusivamente nei negozi legati alla compagnia e pieni di prodotti made in Usa. La situazione era tipica di tutti i paesi caraibici e sudamericani in cui la United operava, al punto che ne nacque l’espressione “repubblica delle banane” per indicare queste zone fuori dal controllo statuale.

Dopo mesi di trattative andate male a causa del muro alzato dalla United, i sindacati indissero uno sciopero il 12 novembre che coinvolse migliaia di lavoratori. Le richieste erano semplici: maggior copertura sanitaria, niente più buoni pasto, assicurazioni per gli infortuni sul lavoro, salario settimanale e aumentato, un giorno di riposo.

Lo sciopero divenne il più grande fra quelli visti nel paese finora: a esso si unirono i liberali, i socialisti e i comunisti. Subito la stampa governativa, la chiesa e la compagnia li bollarono tutti come sovversivi e spie di Mosca, secondo il copione delle retorica del “nemico interno”. I dirigenti della United, tutti statunitensi, pretesero e ottennero dal governo centrale l’invio dell’esercito e la proclamazione dello stato d’assedio.

Il generale Carlos Cortès Vargas guidò i soldati nell’operazione della repressione. Il 5 dicembre gli scioperanti furono convocati al villaggio di Ciénaga con la scusa di dare il benvenuto al governatore, il quale probabilmente avrebbe partecipato ai negoziati. Non arrivò mai. Al suo posto c’era il generale con i suoi uomini appostati sui tetti ed equipaggiati con mitragliatrici. Intimò alla folla di cessare ogni assembramento e di tornare a lavorare esibendo un decreto governativo, ma i presenti si rifiutarono di obbedire. A quel punto fu aperto il fuoco sulla folla dove erano presenti non solo gli scioperanti ma anche le loro famiglie. Si è calcolato che, circondati da 300 soldati, ci fossero circa 5mila contadini, ma in realtà non si è assolutamente certi delle cifre. Il coinvolgimento del governo americano e in particolare del Segretario di Stato Frank Kellogg, anche se non intervenne mai direttamente, ebbe un fitto scambio di informazioni con il governo di Bogotà insistendo che venissero protetti gli interessi dei cittadini americani. Dai documenti emerge persino l’ipotesi di inviare una nave militare vicino alla costa, pronta a intervenire.

Il massacro durò alcuni giorni in tutta l’area attorno alla città di Santa Marta, fino a quando la notizia, nonostante la censura imposta dalla stampa, si diffuse in tutto il paese e iniziarono le mobilitazioni di protesta. Per la United Fruit e il governo i rapporti continuavano come se nulla fosse accaduto, tanto che il generale Cortés firmò con gli operai un “accordo lavorativo”. Alcuni lavoratori si organizzarono in una specie di guerriglia e bruciarono le piantagioni, sabotarono il servizio telegrafico ed elettrico e spezzarono i binari della compagnia che collegavano le piantagioni al porto. La zona rimase militarizzata quasi un anno.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

Gabriel Garcia Marquez, Cento anni di solitudine.

Bucheli, Marcelo Bananas and Business: The United Fruit Company in Colombia: 1899–2000. New York: New York University Press, 2005