COLERA AD HAITI: LE RESPONSABILITÀ DELL'ONU


LATINOAMERICANALORENZO MAZZONI

«Non abbiamo fatto abbastanza riguardo al colera e alla sua diffusione ad Haiti […] Siamo profondamente dispiaciuti del nostro ruolo».

(Ban Ki-moon)

Nel piccolo paese caraibico di Haiti, il 2010 verrà ricordato come uno degli anni peggiori nella storia della nazione. Nel mese di gennaio si registrò un terremoto di magnitudo 7.0 Mw, che mise in ginocchio paese già prostrato dalla povertà, isolando quasi il 70% della popolazione e dando il colpo di grazia alla già debole economia haitiana. Le forze delle Nazioni Unite erano presenti sull'isola dal 2004, anno in cui il presidente Aristide venne deposto con un colpo di stato, per l'operazione di peacekeeping MINUSTAH. Queste diedero un grande contributo alla Croce Rossa internazionale e alle altre associazioni umanitarie nella gestione dell’emergenza. Tuttavia, proprio i Caschi Blu furono responsabili di una delle tragedie più gravi della già travagliata storia di Haiti, l'epidemia di colera del 2010-2012.

Tutte le organizzazioni umanitarie e legali che si sono occupati della questione hanno indicato come origine dell’epidemia le colline di Saint Marc, situate circa 100 km a nord dalla capitale Port-au-Prince. Il primo caso di colera venne registrato il 22 ottobre, quando un uomo di 38 anni morì a causa di un attacco di diarrea fulminante subito identificato come un sintomo di infezione da Vibrio cholerae. Da subito si incominciò ad indagare sulla provenienza e sulle cause della diffusione del batterio, mentre un numero sempre più alto di persone si ammalava. Nel solo mese di dicembre, le autorità contarono 150.000 mila infetti e 432 morti. Ben presto si scoprì che il principale vettore di contagio era il fiume Artibonite, fonte d’acqua primaria dalla popolazione rurale intorno alla capitale. I medici analizzarono l’acqua e trovarono che il sistema fluviale era contaminato da un ceppo particolare che si poteva trovare soltanto in Asia. Inoltre, a conferma dell'origine esotica dell'epidemia, Haiti non registrava casi di colera da oltre un secolo.

Nei 17 mesi seguenti, oltre mezzo milione di persone si ammalarono di colera, ed almeno in 7000 ne morirono, anche se secondo Medici Senza Frontiere il conteggio dovrebbe essere triplicato, dal momento che i dati a disposizione sono soltanto quelli provenienti dagli ospedali e non tengono conto delle persone che a causa dell'isolamento dovuto al terremoto non raggiunsero mai le strutture sanitarie. A seguito delle prime indagini da parte delle associazioni per i diritti umani (in particolare del Bureau des Avocats Internationaux) si scoprì che una base ONU presente sulle colline di Saint Marc scaricava nel fiume Artibonite le acque reflue senza alcun tipo di filtro o impianto depurativo. Inoltre, nella base erano presenti soldati provenienti dal Nepal, in cui si stava registrando un’epidemia di colera di ceppo endemico. La comunità scientifica si trovò presto d’accordo: la responsabilità della contaminazione era delle Nazioni Unite. L’ONU negò ogni coinvolgimento. Nel 2011, la delegazione ONU sull'isola bollò come "irricevibili" le richieste di indennizzo poste dalla cittadinanza, creando un clima di tensione che sfociò in dure proteste.

Le accuse mosse alle Nazioni Unite si estesero in breve tempo dalle responsabilità alla gestione della crisi stessa: le vaghe promesse di ricostruzione delle infrastrutture non furono mantenute se non in casi rari e, ancor più grave, la base ONU, negando il proprio ruolo di untrice, continuò a sversare le acque reflue nel fiume Artibonite fino al 2014. Per molti giuristi, il comportamento degli organi delle Nazioni Unite fu «moralmente inconcepibile e legalmente indifendibile», nonché controproducente, in quanto minava la legittimità della stessa organizzazione. A seguito di manifestazioni e pressioni da parte di varie ONG per la difesa dei diritti umani, nell’agosto 2016 Ban Ki-moon ha ammesso un coinvolgimento dell’ONU nella tragedia, senza però scendere nel merito delle responsabilità. Ciò non bastò agli haitiani, i quali pretendevano se non altro delle scuse formali e delle misure efficaci per contenere l’epidemia in modo da rilanciare, almeno parzialmente, l’economia del paese.

Nel settembre dello stesso anno l’ONU presentò finalmente un nuovo piano per combattere l'epidemia: un pacchetto di misure divise in due fasi, per un costo totale di 800 milioni di dollari. La prima includeva lo sviluppo di infrastrutture sanitarie e l'eradicazione del batterio, la seconda si riferiva ad interventi di “assistenza materiale” alle persone colpite dalla mattia. Quest'ultima è stata oggetto di critiche, non solo per la sua vaghezza, ma anche per il tipo di finanziamento previsto: utilizzo fondi straordinari, dipendenti da paesi donatori. Infine, nel piano non è contenuto alcun risarcimento legato alle palesi colpe dell'ONU nella diffusione del colera.

Al giorno d’oggi il piano è ancora nella prima fase e i dati registrano un calo di infezioni: nel 2018, 3000 casi di cui 254 mortali. Nonostante l’ex segretario Ban Ki-moon, il 1 Dicembre 2016, abbia ufficialmente chiesto scusa per la gestione della crisi, nessuna ufficiale assunzione di responsabilità è stata ammessa dagli organi delle Nazioni Unite e molte associazioni umanitarie ritengono questo atteggiamento come una mera strategia per evitare risarcimenti pecuniari.


Letture ed approfondimenti:

- https://wwwnc.cdc.gov/eid/article/22/3/14-1970_article

- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3381400/

- https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/nejmoa1012928

- The Cholera Outbreak in Haiti: Where and How did it begin? (Daniele Lantagne, G. Balakrish Nair Claudio F. Lanata Alejandro Cravioto, 2013