Popper: la "società aperta"

GABRIELE PATO

POPPER E LA SOCIETÀ APERTA

«Chiunque abbia tentato di creare uno stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà creato un inferno.»

(K.R. Popper, Rivoluzione o riforme?)

Il 1945 vide la pubblicazione di due volumi fondamentali per la moderna teoria politica: “La miseria dello storicismo” e “La società aperta e i suoi nemici”, del filosofo ed epistemologo Karl R. Popper. Entrambe le opere si pongono l'obiettivo di analizzare e confutare sul piano logico il pensiero storicista, che fino a quel momento era stato dominante.

Per Popper lo storicismo (inteso come pensiero fondato sull'idea che la storia universale abbia un fine intrinseco) si può presentare sotto vari aspetti – ad esempio quelli moderni e anti religiosi del razzismo nazifascista o del marxismo – ma deriva sempre da una concezione teista; ovvero dall'idea che un'entità suprema abbia creato un percorso storico universale, del quale un popolo eletto è lo strumento per giungere un futuro paradisiaco.

Lo storicismo è quindi considerato da Popper una “malattia del pensiero” poiché spinge gli esseri umani a declinare le proprie responsabilità nel processo di costruzione di una società, sottomettendosi ad un destino storico ineluttabile.

In alternativa ad una visione finalistica ed al conseguente autoritarismo, Popper propone un modello che egli definisce “Società aperta”. Questa consiste nell'accettazione del confronto tra i molteplici punti di vista filosofici, religiosi e politici, quand'anche questi fossero duramente contrastanti tra loro. La società aperta accetta al suo interno qualsiasi gruppo o individuo, purché questi non si dimostri intollerante e prevaricante nei confronti degli altri, e fonda il proprio edificio teorico sulla tolleranza del diverso e sul confronto tra opinioni divergenti. Questa esigenza nasce da due principali motivazioni: la fallibilità umana ed il politeismo dei valori.

Il primo termine, strettamente collegato alla teoria della falsificabilità sviluppata da Popper stesso nel decennio antecedente, non ha bisogno di spiegazioni; il secondo termine può invece risultare meno chiaro: per politeismo dei valori Popper intende un profondo relativismo etico. La ragione non può arrivare a dimostrare i valori in maniera indiscutibile, come fossero teoremi; i valori sono valide argomentazioni ideali, indimostrabili ed inconfutabili logicamente, ai quali si sceglie se aderire o meno per libera scelta di coscienza.

Fondare una società su questi due fondamentali pilastri permette di mantenerci immuni da presunte leggi ineluttabili e imposizioni di verità assolute.

Partendo da questo relativismo, com'è possibile scegliere chi dovrà governare? In che modo la Società aperta potrà difendersi dagli attacchi dei suoi nemici? Popper risponde in maniera estremamente pragmatica e precisa a queste domande, proponendo un modello che può essere trasposto dalla teoria alla prassi politica, basato su concetti semplici ma portatori di un grande forza intrinseca: in democrazia le istituzioni devono consentire di rovesciare un governo senza fare ricorso alla violenza, cioè senza la soppressione fisica dei suoi componenti; è accettabile qualunque cambiamento politico tranne quello che rifiuta l'alternanza democratica nella composizione di una maggioranza, ossia il fatto che parte della cittadinanza possa mutare la propria opinione politica trasformando una maggioranza in minoranza e viceversa; il controllo tra governati e governanti dev'essere reciproco e costante, poiché all'interno di entrambi possono nascere focolai anti-democratici; in democrazia, la maggioranza ha il compito di difendere i diritti delle minoranze a prescindere dalle posizioni politiche; la democrazia difende i diritti umani e distrutta la democrazia, con essa saranno distrutti anche i diritti umani.

Secondo Popper, inoltre, è dovere della democrazia occuparsi di promuovere ed aiutare a comprendere i principi appena elencati, poiché questa è la sua unica forma di autodifesa dalla tirannide.