Il khomeinismo costituzionalista


di Andrea Bernabale

«Gli Imam erano luci splendenti nell'oscurità dei cieli, infinitamente dotati e superiori agli altri uomini per nascita e indole – talmente superiori che l'angelo Gabriele dichiarò “Se mi fossi avvicinato troppo a Loro, mi sarei bruciato.»

- R. Khomeini -

Il pensiero politico dell’ayatollah Khomeini, che riveste un ruolo centrale nell’Iran rivoluzionario e post-rivoluzionario, si sviluppa in oltre 50 anni, attraversando varie fasi. Dal pensiero quietista, ancora privo di incisività nella vita politica iraniana ma fondamentale nella disamina del khomeinismo, fino ad arrivare a un vero e proprio assolutismo politico che dura tutt’oggi, facendo del khomeinismo una dottrina politico-religiosa capace di perpetuarsi anche dopo la morte dello stesso Khomeini, il suo artefice.

A soli 33 anni l’ayatollah Ruhollah Khomeini era già riconosciuto come marja-e taqlid, ovvero una “fonte di emulazione”. Altresì vantava straordinarie competenze e conoscenze negli ambiti del misticismo, filosofia, etica e legge islamica (shari’a), che facevano di lui una figura tanto unica, quanto di rilievo. Tuttavia, nonostante non nutrisse un sentimento positivo nei riguardi della monarchia, il giovane Khomeini mostrava un profilo ancora apolitico e, pertanto, definibile come quietista. Questa posizione era in linea con il clero sciita, che si distingueva proprio per la sua neutralità: la tradizione voleva, infatti, che il clero rimanesse apolitico, deferendo alla monarchia il compito di far fronte alle sfide politiche. Gli ulama avrebbero avuto invece il compito di guidare la comunità di credenti (ummah) verso la fede, occupandosi quindi solo di questioni religiose e non anche politiche. La politica era infatti chiamata non come la fede a realizzare la giustizia, bensì solo a garantire la sicurezza del cittadino. Vi è ancora separazione tra potere spirituale e potere temporale, finché sarà proprio l’ayatollah Khomeini a ricucire i due poteri fino a fonderli insieme.

Si potrebbe affermare che Khomeini rimase un quietista fintanto che l’ayatollah Buroujerdi - all’epoca massima autorità religiosa in Iran - rimase in vita. Quest’ultimo era infatti grande fautore del quietismo clericale e Khomeini, in quanto suo brillante seguace, si conformava alle direttive.

Tuttavia, la successione al trono nel 1941 che portò Mohamad Reza Pahlavi al potere in Iran determinò un ulteriore inasprimento di Khomeini nei confronti della monarchia. Il nuovo Shah, infatti, promuovendo sempre più politiche secolari passate alla storia come “rivoluzione bianca”, generò nel clero e in Khomeini la paura che la religione fosse sempre più relegata ai margini della società, della vita politica e civile.

Nel 1945, in risposta al processo di rivoluzione bianca, l’ayatollah Khomeini diede alle stampe il suo primo libro intitolato “Kashf al-Asrar” (La scoperta dei segreti), una dettagliata critica alle politiche antireligiose dello Shah nella quale sono presenti anche i prodromi teoretici relativi alla costituzione di uno Stato islamico. Khomeini scrive infatti che lo “Stato può essere legittimo solo quando accetta la legge di Dio, e la legge di Dio significa implementazione della shari’a.

Quel che Khomeini contestava non era dunque la necessità di sopprimere l’istituto monarchico, ovvero apporre modifiche alla forma di Stato e di governo. Khomeini contestava invece quel monarca in particolare, la figura che in quel momento rappresentava la monarchia. Per porre rimedio allo strapotere monarchico, Khomeini teorizzava la necessità di costituire una commissione di ulama, chierici chiamati a supervisionare le leggi del majles (il Parlamento, comunque assoggettato al monarca) al fine di limitare il potere della monarchia stessa.

Il clero, nel disegno politico khomeinista, assume dunque nuovo ruolo: da mero interprete della legge islamica a guardiano (velayat) del potere, affinché quest’ultimo non diventi arbitrario e soverchi la sfera religiosa. Esso non si sostituisce al potere, non tenta di rovesciarlo ma di controllarlo. I chierici diventano, in sostanza, dei giuristi-religiosi (fuqaha).

Proprio per la capacità di costituire un argine, una limitazione al potere monarchico, tale dottrina può essere qualificabile come “khomeinismo costituzionalista”.


LETTURE E APPROFONDIMENTI

- J. Esposito & E. Shahin, “Key Islamic political Thinkers”, Oxford, 2018

- M. Campanini, “Il pensiero islamico contemporaneo”, il Mulino, 2016

- A. Zanconato, “Khomeini. Il rivoluzionario di Dio”, Castelvecchi, 2018