Thomas Cole, "Distruzione"

“CLASH OF CIVILIZATIONS”

LO SCONTRO DELLE CIVILTÀ


LA DOTTRINA E IL PENSIEROLORENZO BONAGURO

«Il mondo sta diventando più moderno e meno occidentale.»

(Samuel P. Huntington)


Nell’estate del 1993 comparve su Foreign Affairs un articolo, divenuto poi libro, intitolato “Clash of Civilizations?” ad opera del professor Samuel Huntington, il quale sosteneva che, terminata la Guerra Fredda, il paradigma interpretativo dello scontro ideologico-politico non sarebbe più stato utile a spiegare le vicende internazionali. Infatti, la causa profonda dei conflitti sarebbe divenuta, e in parte lo è sempre stata, la civiltà: secondo Huntington le differenze culturali dei vari gruppi umani avrebbero costituito la principale fonte di conflittualità del Terzo Millennio.

Huntington definiva le civiltà come un’entità culturale, la più grande nella quale un individuo può riconoscersi, più grande del proprio Paese, ma non abbastanza da abbracciare l’intero globo. Le civiltà hanno confini ma contemporaneamente sono anche estremamente dinamiche, come dimostra la storia. Le principali civiltà contemplate da Huntington erano essenzialmente sette: l’Occidente, l’America Latina, la civiltà slavo-ortodossa (più o meno l’ex Unione Sovietica), quella confuciana (Cina e i paesi vicini), quella indiana e quella giapponese che coincide con il Giappone stesso; infine, la civiltà musulmana che, a parere di Huntington, sarà quella a porre più problemi alla pace internazionale.

La conflittualità tra civiltà è dovuta a molteplici cause. Quella principale è che le differenze culturali sono radicali e inconciliabili, gli attriti sono inevitabili anche a causa del fatto che il mondo diviene “sempre più piccolo”, ovvero un numero maggiore di contatti conduce a una maggiore coscienza culturale e quindi a potenziali contrasti. La globalizzazione avrebbe invece giocato un ruolo di erosione delle identità nazionali, con la conseguenza di acuire la “civilization identity”. Altra causa di conflitto sarebbe ricaduta nel risentimento dei popoli nei confronti dell’Occidente e dei suoi prodotti culturali, che avrebbe generato nei vari paesi delle elite capaci di indurre e guidare le masse popolari a tornare all’originale purezza delle proprie culture. Nel disegno di Huntington, anche l’economia e la politica contribuirebbero ad intensificare la situazione conflittuale tramite la diffusione del regionalismo, che sostanzialmente si basa sulle caratteristiche culturali comuni a un gruppo di paesi di una specifica area geografica.

Huntington concentrò buona parte della sua analisi sulle minaccie poste all’egemonia occidentale. All’inizio degli anni Novanta, l’Occidente e gli Usa in special modo, erano all’apice del loro potere: controllavano quasi completamente le maggiori instituzioni internazionali legate alla sicurezza e all’economia; distanziavano di gran lunga qualunque paese per potenziale bellico, tecnologico, economico e di benessere; i valori occidentali, ritenuti universali come i diritti umani, sembravano potersi finalmente diffondere ovunque. Questo, però, secondo Huntington non sarebbe stato un successo duraturo e, anzi, un rigetto culturale verso molti dei cosidetti valori occidentali era alle porte, sostenuto dalle elite delle varie civiltà.

Una grande minaccia per l’Occidente è posta, secondo il professore, dalla civiltà confuciana e quella islamica. I paesi di queste due culture, intensificando i propri rapporti e soprattuto le loro capacità militari, sono impermeabili ai valori occidentali e iniziano quindi a sfidare più o meno apertamente lo status quo; in particolare l’Islam pare il più insidioso e il più violento dei due, soprattutto a causa dell’alta incompatibilità religiosa con il cristianesimo occidentale. Inoltre, le due civiltà possiedono dei potenziali di crescita economica e demografica in grado di minare il primato dell’Occidente.

L’articolo accese subito un aspro dibattito e molte furono le critiche rivolte ad Huntington. La sua tesi venne, e viene ancora, accusata di non essere davvero un nuovo paradigma: secondo Hans Kung, tra i massimi storici della religione viventi, la teoria di Huntington è solo una riproposizione della visione del mondo diviso in blocchi tipica della Guerra Fredda. Sbaglia anche nel delineare una visione monolitica e semplificata delle civiltà, non rispettandone le sfaccettature e in particolare riguardo il mondo islamico, scadendo in uno sconfortante approccio orientalista. Altri intellettuali, tra cui Noam Chomsky, accusano Huntington di aver costruito la minaccia islamica nella mente dei decisori politici e dell’opinione pubblica americana, sostenendo così una politica estera aggressiva e militarista e diffondendo la retorica dell’enemy discourse, che facilmente presta il fianco a posizioni ultraconservatrici e razziste. La credibilità della tesi è minata anche dal fatto che si tratta sostanzialmente di una profezia auto-avverante: infatti, avendo influenzato la politica estera americana, ha posto le condizioni per il verificarsi degli avvenimenti che pretendeva di prevedere. Comunque, numerosi fatti hanno contraddetto la tesi dello scontro tra civiltà: la contrapposizione Occidente-mondo islamico non è netta, come dimostrarono una coalizione occidentale intervenuta nella ex-Jugoslavia a sostegno delle popolazioni musulmane contro la Serbia slavo-ortodossa, l’Arabia Saudita alleata di Washington o la frammentazione del “blocco” islamico.

Tuttavia, nonostante le critiche e alla luce dei recenti avvenimenti internazionali, la teoria dell’impossibile coesistenza tra Occidente e Islam appare ad alcuni, tutt’oggi, un’intuizione profetica.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI

- Gideon Rose, “The Clash of Civilizations?: The Debate”, Council on Foreign Relations, 2013

- Samuel P. Huntington, “The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order”, New York, Simon & Schuster, 1996

- Samuel Huntington on the 'Clash of Civilizations' https://www.youtube.com/watch?v=3SNicJRcUqs