di Andrea Bernabale

ARTICOLO 23


“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”


Con l’articolo 23 si vuole affermare il concetto di “riserva di legge”, ovvero che lo Stato può imporre ai suoi cittadini un determinato sacrificio o imposizione (prestazione) soltanto sulla base di una legge approvata dal Parlamento ed in vigore. In altre parole, soltanto il Parlamento può limitare la libertà dei cittadini mediante le leggi, che comunque non devono essere in contrasto con la Costituzione, che tutela i diritti e le libertà personali, pena l’invalidità dell’atto. Il fine è quello di evitare che al cittadino possa essere arbitrariamente imposto un obbligo di fare o di dare qualcosa senza che l'entità ed il contenuto della prestazione sia desumibile dai criteri stabiliti dalla legge.

Fino al 2004, il servizio militare obbligatorio (abolito a partire dal 1° gennaio 2005) veniva indicato come «la prestazione personale per eccellenza e la più gravosa che possa ammettersi in una società civile e democratica ed in uno Stato di diritto». Tuttavia, il concetto di “prestazione” indicato nel testo costituzionale ha connotati più ampi: a differenza dello Statuto albertino, l’art.23 non si riferisce solamente ai tributi, ma alle prestazioni personali (obbligo di far parte di una giuria popolare o di testimoniare in un processo, ecc.) e patrimoniali (si tratta, sostanzialmente, del pagamento delle imposte).

Per quanto riguarda le prestazioni patrimoniali, la disciplina trova riferimento nel cd “Statuto del Contribuente”, il quale sancisce che nessun tributo può essere introdotto con decreto legge del Governo, mentre invece è consentito il ricorso al decreto legislativo. Occorre quindi una distinzione tra i due strumenti legislativi in capo al Governo, al fine di chiarire il contenuto sostanziale dell’art.23.

Mentre il decreto legge è un atto normativo emanato dal Governo e avente forza di legge, esso ha validità provvisoria se non convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione. Si dice, infatti, che il Parlamento ha un potere “a valle”, poiché successivo all’emanazione dell’atto da parte dell’Esecutivo (Governo).

Al contrario, il decreto legislativo consiste anch’esso in un atto normativo adottato dal governo ma su delega espressa e formale del Parlamento, che sostanzialmente incarica il Governo a legiferare su una data questione. In questo caso, il Parlamento ha un potere “a monte” sull’atto, in quanto invita esso stesso il Governo a legiferare su una data materia, riservandosi però di stabilire i principi e i criteri direttivi.

Entrambi questi atti (decreto legge e decreto legislativo) costituiscono deroghe al principio di separazione dei poteri - in quanto momento in cui l’esecutivo svolge funzione legislativa e, pertanto, deroga alla competenza esclusiva del Parlamento a legiferare - ma, tuttavia, solo mediante il decreto legislativo il governo può imporre prestazioni di tipo patrimoniale (tasse). In via ordinaria, invece, la competenza spetta al Parlamento.

In conclusione, il senso di questo brevissimo articolo è che non può esserci alcuna arbitrarietà da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini: per quanto possiamo essere contrari a una tassa o a un altro obbligo imposto dallo Stato, quando essi nascono da una legge approvata in Parlamento sono legittimi, a meno che non violino in qualche modo la Costituzione. A tal riguardo, risulta importante l’osservanza della norma costituzionale posta all’art.53, secondo la quale “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.