di Andrea Bernabale

ARTICOLO 22


«Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.»


Approvando questo articolo, l’Assemblea costituente volle ribadire e precisare il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed evitare che si ripeta quanto accaduto durante il regime fascista, il quale aveva leso i diritti di cittadinanza, nome e capacità giuridica dei soggetti che considerava i propri nemici. Tale norme si pone infatti come baluardo nei confronti di quelle dittature che tentarono di calpestare i più elementari diritti umani, al fine di imporre il proprio dominio politico. Nell’esperienza italiana basti ricordare come, nel periodo fascista, alcune persone - perlopiù ebrei e stranieri - furono obbligate a cambiare persino il proprio nome, oltreché la cittadinanza.

La norma afferma uno dei principi fondamentali dei moderni Stati di diritto, ovvero che, in una democrazia, la ‘morte civile’ non può essere in alcun modo accettata. Difatti, la perdita della cittadinanza ha effetti enormi: un individuo perde l’insieme dei diritti e dei doveri connessi alla condizione di cittadino. Una volta divenuto apolide, senza patria, non avrebbe più diritto a risiedere nello Stato e sarebbe in balìa delle decisioni degli organi dello Stato e delle norme che regolano i rapporti degli stranieri in quel Paese: tale era la situazione, ancora una volta, di molti ebrei negli anni della Seconda guerra mondiale. Proprio per indicare questa condizione giuridica degradante, si è soliti usare l’espressione di “morte civile”: non perché l’ex-cittadino muoia, ma perché muoiono i suoi diritti.

È tuttavia possibile che un cittadino subisca limitazioni della sua capacità giuridica, ossia dei suoi diritti, come sanzione dei propri comportamenti o come conseguenza della sua condizione di salute mentale (ad es. la perdita della patria potestà), ma è fondamentale che la motivazione non sia per ragioni politiche, cioè per una decisione presa dal Governo ai danni di una persona o di un gruppo di persone.

Per questi motivi, l’art. 22 vieta espressamente che un individuo (cittadino italiano o straniero) possa essere privato della propria personalità giuridica, ovvero dell’identità (il nome), della capacità giuridica (la possibilità di diventare titolare di diritti e di doveri) e della cittadinanza (l’insieme dei diritti e dei doveri conseguenti l’appartenenza allo Stato italiano).

In realtà, le norme contenute nell’art. 22 non hanno suscitato particolare interesse in ambito giurisprudenziale, tanto è vero che i rari interventi della Corte costituzionale in materia di cittadinanza richiamano l’art. 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge[…]») e non l’art. 22, ma fu di grande importanza simbolica per i Costituenti vietare esplicitamente ciò che il fascismo aveva commesso.