di Andrea Bernabale

ARTICOLO 20


«Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.»


L’art. 20 fu approvato dall’Assemblea costituente senza discussione.

La sua spiegazione e ratio legis fu illustrata dal relatore Giuseppe Dossetti (Democrazia cristiana): «Questo articolo vuole affermare un concetto negativo, e cioè che il carattere ecclesiastico o lo scopo di culto non possano essere causa di un trattamento odioso a danno degli enti stessi. La norma si giustifica come esigenza particolare non solo degli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, ma anche degli enti religiosi non appartenenti alla Chiesa cattolica, tant’è che essa è stata invocata da appartenenti a Chiese non cattoliche. […] La personalità giuridica degli enti ecclesiastici può essere colpita da tutte le leggi restrittive in vigore per gli altri enti morali; ma in base a questo articolo non può essere colpita in modo speciale per il semplice fatto che si tratta di ente ecclesiastico».

In sostanza, l’art. 20 rafforza ulteriormente le garanzie espresse dall’art.19: non possono essere introdotti nella legislazione italiana trattamenti discriminatori verso le associazioni e gli enti religiosi. Fino a pochi anni fa, questo articolo era ritenuto una «ridondante specificazione del principio di eguaglianza riferito agli enti religiosi» ma, negli ultimi anni, l’art. 20 è tornato al centro dell’interesse dottrinario in quanto viene utilizzato per valutare i requisiti dei gruppi religiosi che aspirano a ottenere lo status di confessione religiosa. Per esempio, il riconoscimento del Centro islamico culturale d’Italiae dell’Unione buddista italiana è stato fondato proprio sulla logica antidiscriminatoria dell’art. 20.

In realtà, la preoccupazione di alcuni Costituenti era che la Chiesa cattolica potesse in questo modo ricreare la cosiddetta “manomorta”, ossia il patrimonio perpetuo e inalienabile degli enti religiosi o civili. L’istituto giuridico della manomorta costituisce un danno economico per lo Stato, che non può imporre imposte di successione o sulla vendita. I Costituenti conclusero che questo rischio era evitato dalla legislazione vigente.