di Andrea Bernabale

ARTICOLO 18


“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”


L’art.18 della Costituzione italiana realizza il diritto e la libertà di associazione, intesa come la facoltà di costituire e di aderire (o di non aderire) ad un’associazione.

Tale diritto, fondamentale per una democrazia, è oggi esercitato in modo piuttosto ricorrente nella vita quotidiana: esistono, infatti, associazioni sportive, associazioni culturali, associazioni a scopo di beneficenza, associazioni che hanno l’obiettivo di far valere i propri diritti (ad esempio, le associazioni dei consumatori), associazioni di categoria (avvocati, ingegneri, ecc.) e altre ancora.

Le associazioni, che si distinguono per avere un’organizzazione permanente, riuniscono persone che hanno interessi, attività, scopi e valori comuni.

Costituiscono, quindi, una sorta di “corpo intermedio” tra i singoli individui e lo Stato.

Il diritto di associazione è un diritto che siamo abituati a dare per scontato, ma si immagini cosa succederebbe nel caso contrario, ossia se il diritto di associazione non fosse consentito: il Governo o i suoi rappresentanti locali deciderebbero caso per caso quali associazioni possono essere fondate oppure consentirebbero l’esistenza solo di associazioni promosse dallo Stato. In ogni caso, verrebbero profondamente danneggiate la libertà personale e la libertà di espressione, nonché la possibilità di far valere i propri diritti.

Nonostante il testo costituzionale attribuisca tale diritto ai soli cittadini, è pacifico che anche gli stranieri possano usufruire di tale libertà e con gli stessi limiti previsti per i cittadini.

Tuttavia, anche il diritto di associazione incontra dei limiti: sono infatti vietate alcuni tipi di associazioni, ovvero quelle in contrasto con la legge penale, come le associazioni a delinquere (art. 416 c.p.); altresì, al secondo comma, vengono specificatamente proibite le associazioni segrete - intese come organizzazioni che mantengono occulti i nomi degli iscritti e le attività da esse svolte - e quelle associazioni a carattere militare che perseguono, anche indirettamente, scopi politici.

Le associazioni segrete sono proibite in quanto in un regime democratico in cui è libero associarsi, le organizzazioni segrete non hanno motivo di esistere, se non per scopi illeciti. Fino a oggi il caso più clamoroso ha riguardato la Loggia massonica “Propaganda Due”, meglio nota come P2, il cui fine era il sovvertimento dell’assetto politico istituzionale della Repubblica italiana. La stessa Tina Anselmi, a capo della commissione d’inchiesta, definì la P2 come un'organizzazione che si era dedicata «all'inquinamento della vita nazionale, mirando ad alterare in modo spesso determinante il corretto funzionamento delle istituzioni, secondo un progetto che [...] mirava allo snervamento della democrazia».

La P2 verrà sciolta con una legge nel 1982.

Per quanto riguarda le associazioni a carattere militare che perseguano anche indirettamente scopi politici, il divieto scaturisce dalla considerazione che in un regime democratico i fini politici vanno necessariamente perseguiti attraverso il libero, pacifico e civile dibattito.

Va infatti da sé che già solo la presenza di un corpo militare, quando istituito per scopi politici, può intimorire il resto della popolazione, inibendo il libero confronto e la libera manifestazione delle libertà democratiche.

Infine, occorre notare che in Assemblea Costituente, nella stesura dell’art.18, l’on. Mancini propose di formulare il secondo comma con la dizione: “Non sono consentite le associazioni a carattere militare e fascista”.

La proposta di inserire “fascista” veniva giustificata da Mancini per due ragioni: una sostanziale e una giuridica. Il motivo politico sostanziale si intende facilmente: ci si dichiara tutti antifascisti, si parla sempre di antifascismo e, quando si tratta poi di fare una manifestazione verbale antifascista nella legge costituzionale sorta in antitesi al fascismo, la si evita come se essa potesse destare preoccupazioni o allarmi.

L'altro motivo, di natura essenzialmente giuridica, è il seguente: se si limita il divieto alle associazioni militari e non si parla di associazioni fasciste, si potrebbe intendere da qualcuno che queste sono consentite. Ritiene, perciò, che il divieto debba essere esteso esplicitamente alle associazioni a carattere fascista o neofascista, che vanno profilandosi sul nostro orizzonte politico.

Tuttavia, la richiesta non fu accolta perché - secondo la replica dell’on. Marchesi - il fascismo adesso non si chiama più con tale nome. Potrebbe rispuntare, come rispunta, sotto altre denominazioni. Se si determina l'articolo con un'espressione così vaga quale quella di «associazioni a carattere fascista», si dà al fascismo autentico e sostanziale il permesso di associarsi.