Art.8

FILIPPO FRIGERIO - GIACOMO TOMMASI

ART.8

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

Il primo comma di questo articolo estende anche all’ambito religioso il principio d'eguaglianza sancito, come visto nelle precedenti settimane, dall'art. 3 Cost., preoccupandosi pertanto di porre sul medesimo piano tutte le religioni, a condizione che le stesse non prevedano usi in contrasto con le leggi dello Stato italiano.

La Repubblica si ispira, dunque, ad un atteggiamento di neutralità nei confronti dei diversi culti e si impegna a tutelare senza distinzioni tutte le confessioni religiose, garantendo teoricamente a ciascuna di esse uguale spazio ed uguale tutela, in esecuzione del principio del pluralismo confessionale e della libertà religiosa (artt. 3 e 19 Cost.). Viene così ribadito il principio di laicità sancito in precedenza dall’art. 7 della Costituzione.

Il pluralismo rappresenta in tutte le sue differenti declinazioni un elemento tipico degli Stati democratici compresa l’Italia e, grazie al riconoscimento di tale pluralismo confessionale, si è assistito al definitivo superamento dell’art. 1 dello Statuto albertino, che dichiarava "la religione cattolica, apostolica romana sola religione di Stato". Tuttavia l’obiettivo di un eguale riconoscimento di tutte le confessioni religiose non è stato ancora pienamente raggiunto nel nostro Paese, a causa dell’inevitabile influenza storica, politica e culturale della Chiesa cattolica, la quale ha comportato una maggiore attenzione verso i rapporti che le autorità statali intrattengono con lo Stato del Vaticano.

Per molto tempo, infatti, tale articolo è stato inteso come un esplicito riconoscimento a tutti i credenti del diritto di professare liberamente il proprio credo oltreché quello di svolgere tutte le attività inerenti tali credenze, piuttosto che come principio dell'eguale disciplina dei rapporti con lo Stato. La tutela penale dei culti, contenuta nel vigente codice penale (codice Rocco, risalente al 1930), risultava, ed in parte risulta ancora, differenziata: per questo motivo la Corte Costituzionale, si è più volte attivata per attenuare queste differenziazioni, ad esempio dichiarando incostituzionale l'art. 724 c.p. (che puniva la bestemmia contro Divinità, Simboli e Persone venerati nella religione di Stato), proprio nella parte in cui faceva riferimento alla sola fede cattolica (sentenza n. 440 del 1995).

Appare tuttavia ancora evidente una disparità di trattamento in ordine al finanziamento delle scuole confessionali, e frequenti sono state le polemiche concernenti l’insegnamento dell’ora di religione nelle scuole pubbliche, ancora oggi fonte di tensione, come tensione sussiste inoltre sul problema della esposizione, o meno, dei simboli religiosi nei luoghi pubblici.

È evidente però come l’uguaglianza della quale si parla al comma 1 dell’art. 8 Cost. non possa prescindere da alcuni dati di fondamentale importanza, quali il radicamento di una data confessione in un territorio o l’importanza che questa ha per un determinato popolo., elementi che almeno in parte possono giustificare o comunque far comprendere il perché del trattamento particolare riservato in alcuni ambiti alla religione e alle istituzioni cattoliche presenti in Italia.

Nel secondo comma si afferma in seguito la libertà per le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, di organizzarsi autonomamente secondo un proprio statuto, col solo limite della non contrarietà degli statuti stessi all’ordinamento giuridico italiano, e in particolare all’ordine pubblico e al buon costume. Secondo tale previsione, dunque, le confessioni acattoliche godono di piena autonomia ed indipendenza che si sostanziano nei principi di autodeterminazione e nell’autorganizzazione.

Al comma 3 dell’art. 8 invece viene sancito nuovamente il principio pattizio, valido, come per i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, anche per quelli con le altre confessioni religiose, sulla base del quale i rapporti tra Stato e le singole confessioni vengono regolati mediante accordi tra le parti, detti “intese”.

Mentre, però, per il Concordato con la Chiesa cattolica la dottrina è propensa ad orientarsi verso modelli di diritto internazionale, le intese sono considerate come convenzioni di diritto pubblico interno, aventi la funzione di esprimere i principi che regolano i rapporti tra lo Stato e le confessioni acattoliche.

A seguito della revisione del Concordato del 1984 con la Santa Sede, lo Stato italiano ha pertanto cominciato a stipulare con le varie confessioni le suddette intese, che devono essere ratificate in seguito con una legge “atipica e rinforzata”. Una volta stipulata un’intesa tra lo Stato e una singola confessione ed emanata la relativa legge di attuazione (che deve presentarsi conforme all’intesa stipulata, pena la sua inammissibilità) si ritiene che quest’ultima non possa essere unilateralmente modificata dallo Stato, occorrendo al riguardo le stipula di una nuova e successiva intesa, sebbene la stessa rimanga assoggettabile ad un eventuale sindacato di costituzionalità.

Ad oggi sono 12 le intese stipulate e attuate fra lo Stato italiano e le confessioni acattoliche, oltre a 3 stipule d’intesa, firmate il 4 aprile 2007 dal presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, che tuttavia sono ancora in attesa dell’approvazione parlamentare e della conseguente legge di attuazione.