Art.3

FILIPPO FRIGERIO - GIACOMO TOMMASI

ART. 3

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La portata ideologico-culturale di tale articolo emerge chiaramente fin dalla prima lettura del dettato costituzionale. All’articolo 3 ci si imbatte in quello che può definirsi senza dubbio uno dei principi più significativi della Costituzione Repubblicana e più in generale del costituzionalismo moderno, “il principio di eguaglianza”: esso infatti è il portato dei valori che discendono dalla rivoluzione francese (Liberté, égalité et fraternité) e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 oltreché, in precedenza, dalla Dichiarazione di indipendenza americana del 1776.

In tali documenti costituzionali settecenteschi si assiste infatti al definitivo ripudio dell’idea di società distinta in ceti e si afferma, di conseguenza, il principio fondamentale che la nascita non possa essere una fonte di privilegi: in virtù del principio di uguaglianza, dunque, tutti i cittadini sono soggetti alla stessa legge, generale e astratta, e non sono ammissibili discriminazioni fondate sulle loro condizioni personali.

Al primo comma dell’articolo 3 viene innanzitutto sancito il principio della pari dignità sociale dei cittadini, attraverso il quale si evidenzia, una volta di più, la centralità della nozione di “dignità”, al punto che il riconoscimento e la garanzia costituzionale della stessa dignità umana, che si articola in diverse disposizioni del nostro Testo costituzionale, possono considerarsi acquisizioni tipiche del costituzionalismo democratico e sociale.

La pari dignità sociale di tutti i cittadini viene qui affermata, tuttavia, non tramite l’astrattezza della norma giuridica, ma prendendo concretamente in considerazione alcuni ambiti definiti, come il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali, ambiti nei quali le discriminazioni risultano più diffuse e comuni.

In seguito, sempre al primo comma, viene sancito espressamente il principio di eguaglianza formale rispetto all’ordinamento giuridico, il quale impone a tutti i cittadini di osservare la legge e non può esistere alcun tipo di privilegio che consenta a singoli individui o a gruppi di persone di porsi al di sopra della legge stessa.

Dal momento però che non sarebbe sufficiente annullare le sole disparità giuridiche, garantendo così un’eguaglianza prettamente formale, per veder tutelato il principio di eguaglianza, la Repubblica, come viene sancito dal comma 2, ha il compito di rimuovere quelli che possono essere gli ostacoli di ordine economico-sociale che oltre che di diritto anche di fatto impediscono l’inserimento e la partecipazione di tutti alla vita del Paese, affinché tutti possano godere di pari opportunità ed accedere indistintamente a determinate utilità sociali, quali l’istruzione (art. 34), la salute (art. 32) e il lavoro (art. 38).

Per fare ciò il legislatore sarebbe tenuto, anche se purtroppo spesso questo non avviene, a ricorrere alle cosiddette “azioni positive” per impedire che la lingua, il sesso, la religione e gli altri elementi di diversità possano diventare causa di una discriminazione di fatto, compensando in questo modo situazioni di svantaggio che, perdurando, finirebbero con l’annullare in radice i principi dello Stato sociale.