di Andrea Bernabale

“L’UOMO NELLA GABBIA DI VETRO”: IL PROCESSO EICHMANN

«Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo».

Hannah Arendt, “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”

Quando al termine della seconda guerra mondiale Adolf Eichmann sparì senza lasciare traccia, alcuni lo credettero morto, altri che lo sarebbe stato presto. Di quest’ultima opinione era il presidente israeliano David Ben Gurion, che giurò - in veste di Primo Ministro - di fare il possibile affinché Eichmann, come altri gerarchi nazisti prima di lui, rispondesse delle sue colpe e dei suoi crimini dinnanzi a un tribunale.

Eichmann era vivo e si trovava sotto rifugio in Argentina, dove fu rapito dai servizi segreti israeliani del Mossad e trasferito segretamente in Israele nel maggio del 1960, in chiara violazione della legislazione argentina che non prevedeva l’estradizione.

Per gli ebrei d’Israele e nel mondo era un momento di storica vendetta.

Durante la seconda guerra mondiale, Eichmann fu a capo di una sezione della Gestapo, con il compito di supervisionare e coordinare i trasferimenti degli ebrei appartenenti ai territori che via via venivano conquistati dalla Germania nazista. Ricoprendo tale ruolo, si ritiene che Eichmann fu responsabile di milioni di morti. Per tali ragioni, il gerarca nazista fu portato coattivamente a rispondere delle sue azioni dinnanzi al tribunale di Gerusalemme passibile di ben 15 capi d’accusa, tra cui crimini contro l’umanità, crimini di guerra e associazione ad organizzazioni criminali, quali la Gestapo e le SS.

Come accennato, il processo ebbe inizio in chiara violazione del diritto internazionale e in crisi diplomatica tra Israele e Argentina. La questione verteva proprio sul trasferimento forzoso dell’imputato Eichmann in quanto, secondo le norme internazionali, il rapimento da parte di agenti stranieri di un cittadino regolarmente residente sul territorio e il suo trasferimento in un altro Stato costituisce una violazione del principio di sovranità territoriale. Il governo argentino ne chiese l’immediato rilascio, innescando una crisi diplomatica con il governo israeliano. Al riguardo si pronunciò anche il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che, con la risoluzione 138, condannava Israele per la violazione di sovranità territoriale argentina ma, allo stesso tempo, chiedeva che Eichmann fosse processato per i crimini che lo vedevano imputato. La crisi diplomatica tra i due governi si risolse grazie alla mediazione statunitense che ristabilì una relazione amichevole tra le parti.

In secondo luogo, ulteriore vizio giuridico sollevato da alcuni sarebbe la mancata competenza del tribunale israeliano nel giudicare Eichmann. Il processo avrebbe infatti dovuto tenersi presso una corte internazionale o in un tribunale della Germania Federale, luogo dove Eichmann fu reo dei suoi crimini. Secondo il diritto internazionale, il tribunale di Gerusalemme non avrebbe potuto giudicare crimini commessi da un cittadino non israeliano su cittadini non israeliani e su un territorio diverso da quello d’Israele. Oltretutto, si riteneva che i giudici - in quanto israeliani - fossero parte in causa, e quindi non imparziali nell’applicazione del diritto. Il fatto che i crimini contro l’umanità commessi da Eichmann venissero considerati crimini contro gli ebrei (e che quindi giustificasse la competenza del Tribunale israeliano), risultava contrario a qualunque diritto penale che le vittime, ovvero gli israeliani, giudicassero il carnefice e non fosse un giudice imparziale a farlo.

Comunque, la controversia si risolse con l’accettazione della competenza del tribunale israeliano secondo il principio dell’universalità della giurisdizione per i crimini internazionali, che quindi permetteva al Tribunale di giudicare anche su crimini commessi fuori dal territorio nazionale.

Protetto da una cabina di vetro antiproiettile e a distanza di oltre 15 anni dalla fine della guerra, Eichmann si difese sostenendo la sua mancata responsabilità per i crimini imputategli, ribadendo più volte di aver solo “eseguito gli ordini” ripetendo la frase tedesca “Befehl ist Befehl” (gli ordini sono ordini).

Tuttavia la difesa venne respinta, in quanto tale principio era già stato superato nel processo di Norimberga che vide imputati gli altri criminali nazisti. Quanto affermato allora, infatti, veniva ripreso ora dalla legislazione israeliana e “il fatto che una persona abbia agito in ottemperanza a ordini del suo governo o di un superiore, non lo scagiona dalle responsabilità del diritto internazionale”.

Dopo oltre 4 mesi di processo e 150 udienze, nella calda giornata estiva del 14 agosto 1961 il Tribunale di Gerusalemme pronunciò la sentenza: Adolf Eichmann era ritenuto colpevole di crimini contro il popolo ebraico secondo una legge israeliana emanata dal Knesset (parlamento) nel 1950 - teoricamente irretroattiva poiché posteriore ai fatti - e di crimini contro l’umanità secondo le norme internazionali e i principi espressi a Norimberga.

Eichmann fece richiesta di appello e un secondo processo si aprì tre mesi dopo, ma la sentenza divenne ora definitiva: Eichmann sarebbe stato impiccato, come previsto dall’art. 1 della punitiva legge israeliana n.64 del 1950, in quanto “superiore solo di sé stesso”.

Pochi istanti prima dell’esecuzione, Eichmann congedò la vita pronunciando le sue ultime parole che, secondo quanto scrisse Hannah Arendt, erano l’essenza della banalità del male, dell’essere Adolf Eichmann: «Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti; viva la Germania, viva l'Argentina, viva l'Austria, non le dimenticherò».

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- H. Arendt, “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme.”, Feltrinelli, 2013

- D. E. Lipstadt, “Il processo Eichmann”, Einaudi, 2014

- “The Eichmann Show”, film di P. A. Williams, 2016