Le leggi di norimberga

ANDREA BERNABALE
JURIS

LE LEGGI DI NORIMBERGA

Nell’agosto 1935 Adolf Hitler iniziò a sollevare la questione attorno la necessità di codificare il programma del partito nazional-socialista (NSDAP) in leggi che avrebbero definito lo status degli ebrei tedeschi in Germania. Fu così indetta - secondo il volere del Fuhrer - una conferenza a Norimberga nel settembre 1935 con il chiaro intento di dar vita a una legislazione che rendesse “legittima” una permanente segregazione degli ebrei all’interno della società tedesca.

Le c.d. “Leggi di Norimberga”, che comprendevano la “legge sulla cittadinanza del Reich” e la “legge sulla protezione del sangue tedesco”, avrebbero regolato aspetti fondamentali della vita quotidiana nella Germania nazista.

Mentre la prima regolava il diritto alla cittadinanza, quella relativa alla “protezione del sangue tedesco” si riferiva inizialmente soltanto agli individui di razza ebraica, salvo essere poi emendata nel novembre ‘35 per inglobare, tra i gruppi discriminati, anche i cosiddetti “negri” e “zingari” che nell’opinione comune dell’epoca rappresentavano una seria minaccia alla purezza del sangue tedesco.

Parimenti, la “legge sulla cittadinanza del Reich” - caposaldo della dottrina razziale nazista - negava a tutti gli ebrei lo status di “cittadino del Reich”, il quale veniva definito come colui che fosse di sangue tedesco o affine e che dimostrasse la volontà e l’adattabilità a servire fedelmente il popolo e il Reich tedesco.

Le leggi di Norimberga
Propaganda nazista

Come immediata conseguenza, gli ebrei tedeschi si trovarono ben presto esclusi da posizioni lavorative statali, dalle istituzioni finanziarie e da ruoli relativi all’insegnamento ma anche emarginati socialmente e culturalmente. All’esclusione professionale si accompagnava l’esclusione sociale. In breve tempo fu loro proibito di frequentare teatri, concerti, cinema, ristoranti, di alloggiare in alberghi e, per tutti coloro che avessero un nome di origine non-ebrea, l’obbligo di adottare come primo nome “Israel” per gli individui di sesso maschile e “Sara” per quello femminile.

Questo era il significato pratico di non essere “cittadino del Reich”.

Tuttavia, anche la “legge sulla protezione del sangue tedesco” risolveva una questione aperta: definire biologicamente un ebreo. Il dibattito portò a definire un ebreo in termini di stirpe e secondo vari gradi. Si definiva quindi “ebreo” (o pienamente ebreo) colui che avesse tre o quattro nonni ebrei; “mezzo ebreo” (o ebrei meticci), invece, chi avesse avuto due nonni ebrei e due di razza ariana. Tuttavia, anche i “mezzi ebrei” sarebbero stati classificati come “ebrei” qualora praticassero il giudaismo come fede religiosa o nel caso avessero sposato un individuo ebreo. Il regime, inoltre, esortava vivamente i tedeschi di sangue “puro” a divorziare dai coniugi “impuri”, proibendo nuovi matrimoni misti (salvo previa autorizzazione da parte delle autorità) e sanzionando penalmente gli ebrei che venissero colti in relazioni con tedeschi. Il tutto nella cornice preventiva della contaminazione della razza ariana.

Nel complesso, le leggi di Norimberga costituirono la codificazione di sentimenti razziali diffusi nella Germania del terzo Reich, sancendo normativamente l’isolamento e la subalternità di specifici gruppi etnici, quali ebrei, negri e zingari secondo assurdi principi di “difesa della razza”. Altresì legittimarono campi di concentramento e di sterminio come Auschwitz, Treblinka o Maidanek e, socialmente, furono nient’altro che espressione di pregiudizi psicologici e fobie razziali già presenti e largamente condivise. In ultima istanza, le leggi di Norimberga e la “terapia nazionale”, termine coniato da Kurt Schneider, rappresentarono il preludio ad una pulizia etnica.