di Luca Mattei

LA RAPPRESENTANZA LEGALE DELL'INDIGENTE

Nelle nostre Costituzioni liberali moderne il diritto a essere rappresentato da un avvocato durante un processo si può dare ormai per acquisito. La nostra società ha raggiunto la conclusione che in assenza di un professionista legale un individuo può non essere in grado di comprendere le accuse a suo carico, né di difendersi efficacemente. Per questo motivo l’accesso a un avvocato è un diritto molto antico: lo troviamo addirittura all’interno dei Cahiers des Doléances, i registri nei quali erano annotate le lamentele del popolo nei confronti del regime di Luigi XVI, immediatamente prima dello scoppio della Rivoluzione Francese. I sistemi giudiziari dell’epoca erano particolarmente imprevedibili, ingiusti e brutali. Non stupisce, quindi, che il popolo sentisse il bisogno di un professionista legale che li tutelasse dinnanzi alle autorità. Tuttavia le Costituzioni liberali post ancient régime non prestarono sufficiente attenzione al costo delle prestazioni di un avvocato, che spesso era considerevole. Ne derivò che il diritto all’avvocato finì per affermarsi sempre con maggior forza negli ordinamenti liberali, ma solo formalmente. Nel concreto, solo le classi più agiate potevano effettivamente avvalersi dei professionisti della legge. Alle grandi masse di poveri e popolani non rimase che difendersi in giudizio da soli, o affidarsi agli enti caritatevoli, soprattutto ecclesiastici che provvedevano a fornire assistenza legale gratuita a chi non poteva permettersela.

In generale, tuttavia, mancava una politica pubblica efficace e capillare in grado di garantire l’effettivo accesso dell’individuo a un avvocato, per la quale dovremo aspettare il secondo dopoguerra. A questa regola generale ci furono sparute eccezioni. Un esempio è la breve esperienza sabauda della cosiddetta “Avvocatura dei Poveri” regolata dalla Legge Rattazzi del 1859, la quale istituì un ufficio pubblico deputato all’assistenza legale agli indigenti. L’iniziativa fu tuttavia seriamente compromessa dai suoi limiti economici e strutturali, dato che gli uffici istituiti non seguivano la logica del bisogno, ma una mera ripartizione geografica. Questi erano infatti distribuiti solamente nelle otto Corti di appello di Brescia, Cagliari, Casale, Chambéry, Genova, Milano, Nizza e Torino. Dopo l'Unificazione dell'Italia la situazione non migliorò. Era il 20 aprile 1863, quando il deputato Oronzio De Donno, durante un dibattito alla Camera italiana, dichiarò che la difesa pubblica dei poveri non era una spesa necessaria e che "la necessità dell’economia obbliga a non avere più del necessario". Questo punto fu ulteriormente sviluppato il giorno successivo dal deputato Carlo De Franchis. Quest'ultimo lamentò l'incoerenza di istituire uffici pubblici per difendere i poveri solo nelle Corti d'appello; tuttavia, invece di suggerire di potenziare ed espandere gli uffici, concluse affermando che era meglio affidare la difesa gratuita degli indigenti totalmente agli avvocati privati.

La consulenza legale per i cittadini indigenti era dunque vista solo come un peso dalla macchina statale. Coerentemente, l'Avvocatura dei poveri fu presto sciolta dalla Legge Cortese. Negli anni seguenti, tali esperimenti non si verificarono più, tranne in alcuni lodevoli casi sporadici, come l'Ufficio per l’Assistenza Legale dei Poveri del 1907, fondato interamente dall’opera del filantropo Prospero Moisé Loria, ma anche dopo la Seconda Guerra Mondiale i cambiamenti furono lenti a manifestarsi. Ancora nel 1968 l'accademico Mauro Cappelletti esprimeva preoccupazione per la legge italiana sul libero patrocinio (il Regio Decreto n. 3282 del 30 dicembre 1923), definendola "[…] una delle piaghe più vergognose dell'attuale sistema giuridico italiano". Il motivo di questa forte critica stava nel fatto che in questo decreto la rappresentanza dei cittadini indigenti nei processi sembrava affidata a insufficienti meccanismi di partecipazione forniti dagli avvocati privati. Anche negli Stati Uniti - paese liberale per eccellenza - dobbiamo aspettare il 1963 affinché venga sancito dalla Corte Suprema (Causa “Gideon vs. Wainwright”) il diritto dell’indigente ad accedere un avvocato a spese dello Stato quando accusato di un crimine.