JURISdi Lorenzo Mazzoni

LA LEGGE BOSSI-FINI

La legge 189 del 2002, conosciuta anche come legge “Bossi-Fini” in nome dei primi due firmatari, ovvero l’ex segretario Umberto Bossi della Lega Nord e Gianfranco Fini, è una delle leggi più controverse e dibattute della legislazione italiana, scritta ed approvata durante la XIV legislatura, durante il secondo governo Berlusconi.

La legge fu varata principalmente per impedire ad una fetta di popolazione migrante, uomini e donne generalmente identificati come “migranti economici”, spesso erroneamente, di potersi stabilire in Italia senza un permesso di lavoro.

Entrando nello specifico, la legge modificò il precedente “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (cosiddetta Turco-Napolitano), regolando principalmente quattro aspetti.

In primo luogo, riservare l’ingresso in Italia solo a coloro che possiedono un regolare permesso di lavoro che consenta il mantenimento economico; il permesso di soggiorno potrà quindi essere rilasciato soltanto a coloro che possano dimostrare di avere un contratto di lavoro della durata di 2 anni per chi abbia un contratto di lavoro a tempo indeterminato, 1 negli altri casi. Nel momento in cui lo straniero si ritrovasse disoccupato, egli sarebbe quindi costretto a tornare nel paese d’origine. La legge prevede anche l’obbligo di rilevazione e registrazione delle impronte digitali.

Inoltre, la legge predilige lo strumento delle convenzioni bilaterali con i paesi di emigrazione per disciplinare le norme di ingresso degli stranieri in cerca di lavoro in Italia. A tal proposito, l’unico esempio di queste convenzioni bilaterali sono i due accordi con la Libia, il primo sotto il governo Berlusconi con il colonnello Gheddafi, il secondo sotto il governo Gentiloni, tramite il ministro Minniti in accordo con la controparte del governo Serraj e le milizie che controllano le coste più soggette alle partenze. Questo ha reso quasi impossibile per i migranti entrare legalmente in Italia per motivi di lavoro.

Secondo aspetto rilevante è la sanatoria per colf, badanti e disabili, regolarizzando de facto la posizione di mezzo milione di stranieri in Italia.

Il terzo argomento disciplinato dalla legge riguarda, invece, l’espulsione degli irregolari (stranieri senza permesso di soggiorno ma con documento di identità) e dei clandestini (sprovvisti anche di documento di identità). Questi ultimi vengono forzatamente trasferiti nei cosiddetti “centri di identificazione ed espulsione” per un periodo non superiore a 60 giorni, per espletare le pratiche di riconoscimento e quindi poter espellere il migrante verso il proprio paese d’origine. Se l’espulso viene ritrovato in Italia, egli commetterebbe automaticamente reato e quindi passibile di imprigionamento (aspetto considerato incostituzionale da parte della dottrina).

Infine, la legge autorizza l'utilizzo delle navi militari per il contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo (che nel tempo è divenuta missione europea, la più famosa è la missione Sophia concernente anche il contrasto di commercio illegale di armi e di esplosivi); oltretutto, sono autorizzati i respingimenti in mare per chi cerca di entrare illegalmente nel territorio dello Stato.

Questa legge ha trovato un corollario in un decreto-legge successivo, il “Pacchetto Sicurezza” del terzo governo Berlusconi nel 2009 (promosso da Roberto Maroni della Lega Nord e Angelino Alfano del Popolo della Libertà), che ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di “clandestinità”, che prevede una contravvenzione (con esplicita esclusione dell’oblazione) da 5.000 a 10.000 euro. La giurisdizione per questo reato è stata affidata al giudice di pace (che di natura non è un giudice “togato” in senso stretto). Questo reato, nonostante sia stato fatto salvo dalle varie pronunce della Corte Costituzionale e della Cassazione, unitamente alla Bossi-Fini, ha creato un circolo vizioso nel quale lo straniero di paesi terzi all’UE (gli extracomunitari) si ritrovano, de facto, in una situazione di illegalità dal primo ingresso nello Stato, a prescindere dai motivi dello stesso. Infatti, la dottrina e molte associazioni per i diritti umani (Amnesty in primis) si sono battuti per l’abolizione di questo reato, giudicato irragionevole e, secondo alcuni (L.Ferrajoli), parte di un “razzismo istituzionale e legislativo” che dal 2002 permea la legislazione primaria e secondaria delle politiche immigratorie. Il reato colpisce infatti il migrante (di base irregolare in mancanza di convenzioni) per il suo status e non per una condotta penalmente rilevante, ovvero la lesione di un bene giuridico tutelato dall'ordinamento penale.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Masera L., “Terra bruciata” attorno al clandestino: tra misure penali simboliche e negazione reale dei diritti, in Il “pacchetto sicurezza” 2009, a cura di O. Mazza e F. Viganò, Giappichelli, 2009.

- Ferrajoli L., Il fenomeno migratorio quale banco di prova di tutti i valori della civiltà occidentale in “(Im)migrazione e sindacato a cura di Galossi E., VIII rapporto