di Chiara Carnevale

LA CONVENZIONE ILO SULLO SFRUTTAMENTO MINORILE


Secondo i dati diffusi l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) quantifica in 250 milioni - solo per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo - il numero dei bambini lavoratori di età compresa tra cinque e quattordici anni, la metà dei quali è impegnata in attività lavorative a tempo pieno, mentre un'altra metà affianca al lavoro l'attività scolastica; si stima inoltre che circa un quinto di questi bambini, di età compresa tra i cinque e gli undici anni, lavori in condizioni estremamente rischiose e gravemente pregiudizievoli con riguardo all'età ed alla vulnerabilità degli stessi . Il tema del lavoro è da anni al centro di un acceso dibattito a livello internazionale, che coinvolge numerosi apparati istituzionali, molte organizzazioni non governative e le stesse associazioni.

Sotto l’etichetta di "lavoro minorile" possono inquadrarsi diversi fenomeni che vanno dalle attività domestiche e di cura o comunque svolte in ambito familiare, al lavoro esterno all’ambito familiare, al lavoro forzato, sino allo sfruttamento sessuale a fini commerciali nella prostituzione o nell’industria pornografica; inoltre il termine "lavoro minorile", etimologicamente riferibile alla minore età legale, non è necessariamente sempre associabile ad una situazione di illegittimità e di sfruttamento, essendo ammesso, nel nostro come in altri ordinamenti, un accesso legittimo al lavoro da parte del minore a fronte del raggiungimento di una determinata età minima e dell’adozione di tutta una serie di cautele e misure protettive previste e regolate, nel nostro come in molti altri Paesi, da un'articolata legislazione speciale.

Qualora si concentri l'attenzione sull'individuazione di una "patologia" del fenomeno "lavoro minorile", che in quanto tale non riguarda ogni forma di impiego di soggetti che abbiano un'età minore di diciotto anni, si possono empiricamente tracciare delle coordinate per delimitare la diversa e più ristretta nozione di "lavoro minorile sfruttato"; in questo senso sembrano operativamente utili le indicazioni date già da tempo dall'UNICEF, che così evidenzia in modo esemplificativo alcune caratteristiche tali da individuare una situazione di sfruttamento del lavoro infantile: un'occupazione a tempo pieno in età precoce; un elevato numero di ore lavorative; un'indebita pressione fisica, psicologica o sociale; cattive condizioni di vita; inadeguatezza della paga; presenza di eccessive responsabilità; impossibilità di ricevere un'adeguata istruzione scolastica; compromissione della dignità e del senso di autostima del minore; pregiudizio al completo sviluppo sociale e psicologico dello stesso. In quest'ottica poi, a livello internazionale è divenuta palese la necessità di fissare delle priorità, con particolare riguardo alle forme più gravi ed intollerabili di sfruttamento. E’ proprio in questa direzione che si è mossa l'Organizzazione Internazionale del Lavoro con l'adozione della Convenzione per la messa al bando delle peggiori forme di sfruttamento infantile.

Il 17 giugno 1999, a Ginevra, la Conferenza dell’ILO ha approvato definitivamente, all’unanimità dei rappresentanti dei 174 Paesi aderenti all’ILO, la Convenzione per la messa al bando delle peggiori forme di sfruttamento infantile. Il testo approvato costituisce indubbiamente un’importante tappa nel cammino iniziato dall’ILO da molti anni, che ha già vissuto un passaggio fondamentale con l’adozione nel 1973 della Convenzione n. 138 sull’età minima di ammissione al lavoro; quest'ultima, abrogando i precedenti strumenti normativi adottati in materia dall’Organizzazione, impegna gli Stati a perseguire politiche volte alla totale abolizione del lavoro minorile e stabilisce che nessun soggetto possa essere ammesso al lavoro se di età inferiore a quella stabilita per l’istruzione scolastica obbligatoria e, comunque, se minore dei quindici anni, elevati a diciotto per le attività che possano in qualunque modo compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore. Peraltro, come è noto, non poche sono state sino ad oggi le resistenze degli Stati a ratificare la Convenzione del 1973, circostanza resa palese dal numero delle ratifiche che al 30 giugno 1999 risultavano essere solo 74.

Nucleo centrale della Convenzione del 1999 è la definizione delle forme intollerabili di lavoro minorile: così, all'art. 3, sono definite in primo luogo tutte le forme di schiavitù o ad essa assimilabili, come la vendita ed il traffico di bambini, la servitù per debiti, il lavoro forzato, incluso l'arruolamento nei conflitti armati - previsione, quest'ultima, quanto mai opportuna vista la tragica diffusione in moltissimi Paesi del fenomeno dei bambini soldato; l'utilizzo ma anche l'offerta di bambini per la produzione di materiale pornografico o comunque per attività pornografiche o per la prostituzione, così come l'utilizzo e l'offerta di bambini per attività illecite, in particolare per la produzione ed il traffico di droga ; infine il lavoro che, per le circostanze in cui si svolge, è suscettibile di essere pregiudizievole per la sicurezza, la salute e la moralità dei bambini. Il metodo della concertazione trilaterale tra istituzioni governative, associazioni ed organizzazioni sindacali, è individuato dalla Convenzione come il più opportuno ed auspicabile per progettare ed implementare programmi di azione volti ad eliminare in via prioritaria le più gravi forme di sfruttamento del lavoro minorile (art. 6); la Convenzione inoltre impegna gli Stati parte non solo a stabilire sanzioni penali o di altra indole per garantire l'effettività delle previsioni convenzionali (previsione questa indubbiamente significativa), ma, in un'ottica riabilitativa e preventiva, li impegna anche ad adottare misure effettive per prevenire l'impegno di bambini nelle forme di sfruttamento individuate come intollerabili, a rimuovere gli stessi da tali attività e a promuovere la riabilitazione e l'integrazione sociale dei bambini coinvolti, a garantire ad essi l'accesso ad un'istruzione gratuita di base e, se possibile, ad un addestramento professionale, ad identificare e raggiungere i bambini a rischio ed a considerare la particolare situazione delle bambine (art. 7). Gli Stati membri sono infine impegnati a darsi reciproca assistenza nel garantire l'effettività della Convenzione, anche attraverso strumenti di cooperazione internazionale diretti in particolare a promuovere lo sviluppo sociale ed economico, a sostenere programmi volti a promuovere l'istruzione ed a sradicare le situazioni di povertà (art. 8).

Se dunque il problema dello sfruttamento del lavoro minorile è di non facile ed immediata soluzione, tutte le iniziative di carattere strettamente normativo, di azione sul terreno, di sensibilizzazione dei consumatori e dello stesso sistema delle imprese, unitamente ad un più deciso coinvolgimento degli attori sociali (organizzazioni sindacali e famiglie in primo luogo), fanno sperare in una risoluzione non troppo lontana.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI: