di Lorenzo BonaguroJURIS

LA CLAUSOLA DEL “REBUS SIC STANTIBUS”

Una delle pietre fondanti del diritto internazionale generale e delle relazioni internazionali è il principio espresso dalla locuzione “pacta sunt servanda”: i patti devono essere rispettati, norma generale che è stata infine codificata nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 nell’articolo 26, che recita: «Ogni trattato in vigore vincola le parti e queste devono eseguirlo in buona fede».

A questa norma c’è però una via d’uscita rappresentata dal principio generale del “rebus sic stantibus” (stando così le cose) che offre una possibilità di eludere - in tutto o in parte - i vincoli di un patto, trattato o accordo, qualora le circostanze siano cambiate radicalmente rispetto alla situazione vigente all’epoca della conclusione del suddetto accordo. In quanto principio generale, non può esistere clausola contrattuale che lo possa derogare.

Ma quanto è davvero radicale il “rebus sic stantibus”? I tentennamenti su come definire questo principio sono evidenti nella codificazione avvenuta nella Convenzione del 1969, poiché, sebbene non vi fossero grandi dubbi sull’esistenza di questa norma generale, spesso sono avvenute polemiche riguardo la presunta radicalità del cambiamento nei singoli casi specifici. Nella Sezione 3 che riguarda l’«estinzione dei trattati e sospensione della loro applicazione», l’articolo 62.1 descrive il concetto in senso negativo; infatti, indica i casi estremi in cui le circostanze sono così mutate che esso può essere invocato nei casi in cui: (a) il trattato stesso aveva la sua ragion d’essere basata sulla specifica situazione del tempo della stipula, quindi la clausola è valida; (b) gli obblighi che scaturiscono dal trattato non siano irrimediabilmente alterati dal nuovo stato di cose.

Il paragrafo 2 pone due limiti: il primo (a) « quando si tratti di un trattato che fissa una frontiera», l’accordo di delimitazione esaurisce i suoi effetti nel momento in cui la frontiera è delimitata. In altre parole, un governo subentrato a un cambiamento di regime non può invocare la clausola e violare il nuovo confine significherebbe ledere la sovranità territoriale. Il secondo limite (b) è «quando il fondamentale mutamento derivi da una violazione, da parte della parte che la invoca, o di un obbligo del trattato o di qualsiasi altro obbligo internazionale nei confronti di qualunque altro Stato che sia parte del trattato»; la messa in atto della violazione fa cadere ogni legittimità. Infine, al terzo paragrafo si afferma che se i precedenti paragrafi sono validi una parte «può anche invocarlo soltanto per sospendere l’applicazione del trattato».

Il principio del rebus sic stantibus gioca un ruolo chiave nella questione dell’incompatibilità delle norme convenzionali, ossia dei trattati. Per esempio, nel caso di un accordo in cui le parti modificano gli impegni presi nei confronti di altri Stati, le due parti possono sostenere che quegli impegni siano venuti meno a causa del radicale mutamento delle circostanze, e sono quindi legalmente liberi di stringere il nuovo accordo. Casi concreti di queste dinamiche furono il “Memorandum di Londra” del 1954 e il Trattato di Osimo del 1975 con i quali l’Italia e la Jugoslavia regolarono la questione di Trieste. Questi nuovi accordi derogarono il più vecchio Trattato di Pace del 1947 tra Italia e Potenze Alleate e il radicale mutamento fu individuato nell’incapacità del Consiglio di Sicurezza di amministrare il Territorio Libero di Trieste.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- Benedetto Conforti, Diritto Internazionale, Napoli, 2015

- Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 https://www.admin.ch/…/clas…/19690099/201502240000/0.111.pdf