di Chiara Carnevale


IL TRATTAMENTO DEI PRIGIONIERI DI GUERRA


Una delle aree di studio del Diritto internazionale umanitario è il trattamento dei prigionieri di guerra. Nelle guerre più antiche non esisteva la figura del prigioniero: gli sconfitti venivano uccisi o resi schiavi e addirittura, durante le guerre di religione, era spesso considerato desiderabile uccidere i nemici, ritenuti infedeli o eretici. Si considera la Pace di Vestfalia - stipulata nel 1648 alla fine di uno dei più sanguinosi conflitti d’Europa - uno spartiacque, in quanto segnò una nuova concezione del prigioniero, il quale cominciò ad essere liberato senza riscatto. Il tema del trattamento del prigioniero di guerra interessò anche Montesquieu che scrisse ne “Lo spirito delle leggi” che l’unico diritto che lo Stato detentore dei prigionieri di guerra aveva su di loro era quello impedirgli di fare del male. Verso la metà del diciannovesimo secolo nel mondo occidentale i principi sul trattamento dei prigionieri erano noti, ma non sempre venivano rispettati come nel caso della guerra di secessione americana e della guerra franco-prussiana. Nella seconda metà del secolo si tentò di migliorare nuovamente il destino dei soldati, perciò nel 1899 e nel 1907 le conferenze internazionali all’Aja stabilirono regole di condotta che ottennero un certo riconoscimento nel diritto internazionale. Tuttavia nella prima guerra mondiale, dato il gran numero di prigionieri di guerra, si rivelò difficile per gli Stati gestirli e garantire loro un giusto trattamento.

Le norme a cui si fa riferimento quando si parla di prigionieri di guerra sono contenute nella “Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra” (27 luglio 1929), il cui art.2 stabilisce che i prigionieri di guerra sono in potere della Potenza nemica e non degli individui o dei corpi di truppa che li hanno catturati, e pertanto devono essere trattati sempre con umanità ed essere protetti specialmente dagli atti di violenza, nonché le misure di rappresaglie nei loro confronti devono essere proibite. È stata però la terza Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 e successivamente il “Primo Protocollo addizionale relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali” dell’ 8 giugno 1977 a sancire un effettivo impegno degli Stati nel garantire una considerazione più umana possibile del prigioniero di guerra.

In particolare, con l’adozione della terza Convenzione di Ginevra del 1949, lo status di prigioniero di guerra è stato esteso anche alla categoria di persone tutelate dalla prima e dalla seconda Convenzione, ossia i feriti, i malati, i naufraghi. Inoltre, le condizioni e i luoghi di prigionia sono stati maggiormente definiti, con particolare riguardo al lavoro (forzato) dei prigionieri di guerra, alle loro risorse finanziarie, all’assistenza e ai procedimenti giudiziari istituiti a loro carico. Il trattamento umanitario previsto dalla tale Convenzione è il frutto di un negoziato fra Stati che ha cercato di tenere conto di due esigenze diverse: l'esigenza di sicurezza dello Stato che detiene il prigioniero; l'esigenza di fedeltà al proprio paese del prigioniero. Il prigioniero di guerra, infatti, non essendo cittadino della potenza detentrice non è legato ad essa da alcun dovere di fedeltà, ma anzi come soldato è spesso vincolato al dovere di cercare di combattere per il proprio paese. Pertanto, ad esempio, se il prigioniero tenta la fuga e non riesce a raggiungere le proprie linee, potrà essere punito solo disciplinarmente e non penalmente (se però nel tentare la fuga uccide o ferisce qualcuno o compie altri reati allora potrà essere perseguito penalmente in base alle leggi del paese dove è trattenuto). Per quanto riguarda il lavoro, ai soldati semplici può essere assegnato lavoro manuale, ai sottufficiali può essere assegnato lavoro di supervisione. Non è permesso assegnare lavori agli ufficiali, a meno che loro stessi lo richiedano. I prigionieri non possono essere obbligati a lavori di carattere militare.

Si deve ricordare che nel 1996, le Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 sono state dichiarate dalla Corte Internazionale di Giustizia norme consuetudinarie e quindi vincolanti anche per gli Stati che non vi hanno aderito. Pertanto le gravi violazioni riguardanti il trattamento dei prigionieri di guerra, rientrano nei crimini di cui si occupa la Corte Penale Internazionale, unitamente a tutti i crimini contro l’umanità e a tutti i crimini di guerra.


LETTURE E APPROFONDIMENTI