Il processo di Norimberga

LORENZO MAZZONI

IL PROCESSO DI NORIMBERGA

RESPONSABILITÀ PENALE E ORDINI DEI SUPERIORI GERARCHICI

Il processo di Norimberga è stato uno dei primi veri esperimenti di tribunali internazionali sulla scena mondiale, con tutte le sue contraddizioni e tutte le critiche che sin dalla sua costituzione gli sono stati mosse.

Uno dei temi centrali ed anche controversi con i quali i giudici del Tribunale Militare hanno dovuto fare i conti è la responsabilità per atti commessi sotto ordini di un superiore gerarchico. Le ragioni di questa centralità sono varie: tipologia dei crimini commessi (crimini di guerra, contro la pace e contro l’umanità), circostanze della loro commissione (stato di guerra), le qualità dei soggetti agenti (militari o soggetti inquadrati in sistemi gerarchici).

Il Tribunale stesso spiegò, analizzando la questione in maniera approfondita: “Le procedure all’interno del partito nazista furono governate nel modo più assoluto dal Fuhrerprinzip. Secondo questo principio, il Fuhrer, non soggetto ad alcun tipo di controllo e a sua completa discrezione, ha il diritto di governare, amministrare o di emettere ordini (…). Il principio venne applicato in un primo luogo in riferimento ad Hitler, in quanto leader del Partito, e in secondo grado, a tutti i membri del partito che avevano giurato eterna fedeltà al leader”.

In questo contesto, tutti gli imputati si sono difesi con la difesa di “obbedienza agli ordini”, affermando di conseguenza la propria innocenza, così come ha esemplificato il procuratore della difesa Jahrreiss “Gli ordini del Fuhrer avevano una speciale aura di santità...I suoi ordini erano qualcosa di piuttosto diverso dagli altri ordini di ogni altro ufficiale all’interno della sua gerarchia”. Il procuratore dell’accusa, l’americano Jackson, rispose a queste argomentazioni: “noi sappiamo che anche il capo dello Stato ha gli stessi limiti, per ciò che riguarda i suoi sensi e le ore dei suoi giorni, come li hanno gli uomini di grado inferiore. Egli deve fare affidamento su altre persone che devono essere i suoi occhi e le sue orecchie, come lo sono la maggior parte di quelli che vivono e operano in un grosso impero. Su chi fece affidamento Hitler per queste cose se non su questi uomini, oggi sotto accusa? Questi uomini erano vicini ad Hitler e spesso potevano controllare le informazioni che egli riceveva e sulle quali basava la sua politica e i suoi ordini. Essi erano la Guardia Pretoriana e, mentre essi erano sotto gli ordini di Cesare, Cesare era sempre nelle loro mani”.

Qui arriviamo al nocciolo della questione, ovvero l’art 8 dello statuto del Tribunale Militare di Norimberga che recita: “Il fatto che l’accusato abbia agito in ossequio all’ordine del suo governo o di un superiore non lo esime da responsabilità, ma può essere preso in considerazione come circostanza attenuante, se il Tribunale accerta che ciò sia richiesto da motivi di giustizia”. È una grande novità per il diritto internazionale, una svolta rispetto al processo di Lipsia (celebrato dopo la Prima guerra mondiale): questa norma non vuole lasciare spazio alla cosiddetta “fuga verso l’alto” delle responsabilità (e quindi di conseguenza trovarsi come unico colpevole Hitler stesso, peraltro ormai defunto). Sostanzialmente, questo principio non riconosce l’esonero di responsabilità per chiunque sia stato parte della commissione di un crimine di guerra, sia nel caso di aver dato l’ordine sia di averlo materialmente eseguito.

Il Tribunale di Norimberga precisa però: “Le previsioni di questo articolo sono in conformità con la legge di tutte le nazioni. Che ad un soldato fosse ordinato di uccidere o torturare in violazione della legge internazionale della guerra, non è mai stato riconosciuto come una difesa per azioni di tale brutalità, sebbene, come l’atto qui prevede, l’obbedienza ad un ordine può condurre alla mitigazione della pena. Il test fondamentale, che si trova espresso nella legge criminale della maggior parte delle nazioni, non è l’esistenza di un ordine, ma se fosse di fatto possibile una scelta morale”. Questa “scelta morale” prende in considerazione la possibilità di aver eseguito il crimine sotto minaccia di morte, o comunque di un male immanente e grave alla persona materialmente esecutrice; in questi caso l’imputato sarebbe stato assolto in quanto privo di scelta morale. Questo specifico principio del Tribunale ispirerà l’odierno art. 31, lett d), dello statuto della Corte Penale Internazionale, in cui si afferma che la costrizione (“duress”) è una delle cause di esclusione della punibilità.