Il Diritto internazionale del mare

FILIPPO FRIGERIO

IL DIRITTO INTERNAZIONALE DEL MARE

Storicamente, mari ed oceani sono stati e continuano ad essere luoghi fondamentali per la vita umana. Il crescente aumento della navigazione a fini turistici, commerciali e bellici ha richiesto l’emanazione di regole internazionali che governassero le varie attività umane nei mari. Come la legge internazionale del conflitto armato e la legge della diplomazia, la legge del mare è una delle più antiche branche del diritto pubblico internazionale e svolge un duplice ruolo all'interno delle relazioni internazionali.

La funzione primaria del diritto internazionale implica la distribuzione spaziale della giurisdizione degli Stati, e lo stesso vale per il diritto del mare. Il diritto internazionale contemporaneo del mare divide gli oceani in più zone giurisdizionali - comunemente chiamate "acque interne" -, in mari territoriali, zone economiche esclusive (ZEE), acque arcipelagiche, piattaforme continentale, alto mare e Area (comprendente il fondale marino ed il sottosuolo, la colonna d'acqua adiacente e l'atmosfera sovrastante). In linea di principio la legge del mare esplica, così, diritti e doveri di uno Stato costiero e di uno Stato terzo in base a tali zone giurisdizionali. Inoltre, bisogna tenere in conto che secondo tale legislazione, l'oceano è composto da tre elementi stratificati: il fondale marino e il sottosuolo, la colonna d'acqua adiacente e l'atmosfera sopra il mare.

In secondo luogo, dato che il mare è una unità in senso fisico, la corretta gestione degli oceani richiede la cooperazione internazionale tra gli Stati, al fine di perseguire obiettivi fondamentali, quali la conservazione delle risorse marine e della biodiversità, la regolamentazione dell'inquinamento marino e la ricerca scientifica oceanica. Il diritto del mare stabilisce, così, un quadro giuridico per garantire la cooperazione internazionale negli affari marittimi, salvaguardando gli interessi della comunità internazionale nel suo complesso.

Queste due funzioni fondamentali, la distribuzione spaziale della giurisdizione nazionale e la garanzia della cooperazione internazionale tra Stati, non si escludono a vicenda, ma coesistono, grazie ad una gestione zonale che divide gli oceani in più zone giurisdizionali e ad un secondo approccio di gestione incentrato sugli interessi della comunità. Come spiegato in precedenza, gli spazi marini sono suddivisi in diverse zone giurisdizionali. Sulla base della giurisdizione nazionale dello Stato costiero, questi spazi marini possono essere suddivisi in due categorie principali: spazi marini sotto giurisdizione nazionale e spazi al di fuori della giurisdizione nazionale. La prima categoria comprende acque interne, mari territoriali, stretto internazionale, acque arcipelagiche, la zona contigua, la ZEE e la piattaforma continentale e può essere suddivisa in ulteriori due sottocategorie: gli spazi marini sotto la sovranità territoriale (o completa giurisdizione spaziale) come le acque interne, il mare territoriale, gli stretti internazionale e le acque arcipelagiche, e gli spazi marini sotto diritti sovrani (o giurisdizione spaziale limitata) come la zona contigua (dove sono stabilite le ZEE), la ZEE e la piattaforma continentale; la seconda categoria contiene, invece, l'alto mare e l'area, vale a dire il fondo marino e il suo sottosuolo oltre i limiti della giurisdizione nazionale.

I principi che governano questa materia sono fondamentalmente tre: il principio di libertà, il principio di sovranità e il principio del patrimonio comune dell'umanità. Tradizionalmente la legge del mare era dominata dal principio di libertà e del principio di sovranità. Il primo mira a garantire la libertà di utilizzo degli oceani, come la navigazione, il sorvolo, la posa di cavi sottomarini e condutture, la costruzione di isole artificiali, la pesca e la ricerca marina. In contrasto con il principio di libertà, il principio di sovranità cerca di salvaguardare gli interessi degli Stati costieri. Questo principio promuove essenzialmente l'estensione della giurisdizione nazionale negli spazi offshore e sostiene la territorializzazione degli oceani. Sulla base del principio di libertà e del principio di sovranità, l'oceano è stato diviso, così, nelle due categorie indicate precedentemente.

Il terzo e ultimo principio è quello che considera il mare come patrimonio comune dell'umanità, nato come antitesi nei confronti del principio di sovranità e del principio di libertà. Mentre il principio di sovranità e di libertà mira a salvaguardare gli interessi dei singoli Stati, il principio del patrimonio comune dell'umanità cerca di promuovere gli interessi comuni della società umana nel suo insieme. In secondo luogo, tale principio si concentra sull'umanità come nuovo attore nella legge del mare: l'umanità non è solo un mero concetto astratto, ma ha un organo operativo, l'autorità internazionale dei fondali marini, che agisce a nome della società nel suo complesso, introducendo una nuova prospettiva, che supera il sistema di rapporti esclusivi fra Stati all’interno della legge del mare.

DALLA CONVENZIONE DELL'AJA AD "UNCLOS II"

Il primo tentativo intergovernativo di codificare la legge del mare venne messo in atto alla Conferenza dell'Aja del 1930 per la codificazione del diritto internazionale, promossa dalla Società delle Nazioni. La Conferenza mirava a codificare la legge internazionale relativa a tre materie, vale a dire la nazionalità, la responsabilità dello Stato e le acque territoriali. Per quanto riguarda le acque territoriali, due questioni, tra le varie discusse alla Conferenza, sono di particolare interesse: la natura dei diritti posseduti da uno Stato sulle acque territoriali e l'ampiezza di queste.

Per quanto riguarda la natura dei diritti dello Stato costiero rispetto alle acque territoriali, una netta maggioranza di Stati, sebbene non all'unanimità, sosteneva il principio secondo cui lo Stato costiero avrebbe la sovranità territoriale non solo con riguardo alle acque territoriali, ma anche allo spazio aereo sovrastante e al fondale marino e il sottosuolo. Pertanto, la relazione adottata alla Conferenza dell'Aia affermava come venisse “riconosciuto che il diritto internazionale attribuisce a ciascuno Stato costiero la sovranità di una fascia di mare attorno alle sue coste". Allo stesso tempo veniva riconosciuto il diritto al transito di navi straniere attraverso le acque territoriali, al fine di tutelare l'importanza della libertà di navigazione.

D'altra parte, l'ampiezza delle acque territoriali fu la questione più discussa. Sebbene non sia possibile effettuare un esame dettagliato, è necessario evidenziare due pratiche diverse.

La prima pratica si riferisce alla “cannon-shot rule”, in base alla quale il limite delle acque territoriali veniva determinato dalla portata di un colpo di cannone dalla riva, regola consolidata nella maggior parte dei paesi del Mediterraneo.

La seconda pratica era quella impiegata dai paesi scandinavi, secondo la quale il limite delle acque territoriali veniva fissato a una distanza prestabilita dalla costa.

Alla luce dell'ampia divergenza di opinioni tra Stati, non fu formulata alcuna regola a riguardo e la Conferenza dell'Aia terminò senza l'adozione di una convenzione su tale argomento. Tuttavia, la Conferenza produsse importanti dichiarazioni su questioni riguardanti il diritto del mare, come l’affermazione del principio della libertà di navigazione, della sovranità sulle acque territoriali e del diritto di passaggio innocente attraverso queste aree.

Negli anni successivi, in particolare dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la crescente domanda di petrolio indusse gli Stati costieri ad estendere la propria giurisdizione anche alle risorse naturali presenti nella piattaforma continentale. Allo stesso tempo, in risposta all'esaurimento delle risorse biologiche marine, le rivendicazioni su queste risorse in alto mare vennero sempre più sostenute da parte degli Stati costieri. A questo proposito, il 28 settembre 1945, il presidente degli Stati Uniti Truman pubblicò i proclami sulla piattaforma continentale e sulla pesca, che segnarono il punto di partenza del nuovo sviluppo della legge del mare.

In tale contesto, la Commissione di diritto internazionale (ILC), istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1947, iniziò il proprio lavoro per arrivare ad una codificazione della legge del mare. Nel 1956, l'ILC presentò il rapporto finale alle Nazioni Unite, fornendo le basi per i lavori della Prima Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS I), svoltasi a Ginevra il 24 febbraio 1958. Qui vennero adottate la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, la Convenzione sull'alto mare, la Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse viventi in alto mare, la Convenzione sulla piattaforma continentale, il Protocollo facoltativo di sottoscrizione concernente la composizione obbligatoria delle controversie, oltre a varie risoluzioni riguardanti test nucleari in alto mare, inquinamento dei mari da materiali radioattivi, conservazione della pesca, cooperazione nelle misure di conservazione, uccisione da parte dell’uomo della vita marina, pesca costiera, acque storiche.

Un risultato notevole di questa Conferenza fu che il tradizionale dualismo negli oceani venne stabilito come lex scripta. L'articolo 1 della Convenzione sull'alto mare stabilisce, infatti, come "il termine alto mare indica tutte le parti del mare che non sono incluse nelle acque territoriali o nelle acque interne di uno Stato".

Ne consegue, quindi, che la Convenzione di Ginevra del 1958 divise lo spazio marino in tre categorie fondamentali: acque interne, acque territoriali e alto mare. Le acque interne e le acque territoriali sono soggetti alla sovranità territoriale degli Stati costieri. Allo stesso tempo, l’articolo 2 stabiliva esplicitamente la libertà dell'alto mare.

Inoltre, veniva istituita la piattaforma continentale, descritta come comprensiva "del fondale marino e del sottosuolo delle aree sottomarine adiacenti alla costa ma al di fuori dell'area delle acque territoriali, ad una profondità di 200 metri o, oltre tale limite, a dove la profondità delle acque sovrastanti ammette lo sfruttamento delle risorse naturali di dette aree ".

Nonostante i preziosi contributi, a conclusione dell'UNCLOS I vennero lasciati aperti due problemi chiave. Il primo di questi riguardava la massima ampiezza delle acque territoriali. Poiché le acque territoriali sono sotto la sovranità territoriale dello Stato costiero, quello Stato vi può monopolizzare le risorse naturali. Alla luce della crescente domanda di risorse marine, è stato naturale che l'ampiezza del mare territoriale costituisse una seria discussione sul punto. A tale riguardo, tutti i paesi dei blocchi sovietico e arabo e la maggior parte degli Stati asiatici, africani e dell'America latina favorivano il limite di dodici miglia delle acque territoriali, mentre molti stati marittimi sostenevano che la regola delle tre miglia era l'unica regola accolta nel diritto internazionale. La ILC dovette riconoscere come la pratica internazionale non fosse uniforme rispetto alla tradizionale limitazione del mare territoriale a tre miglia. Di conseguenza, nessuna regola venne adottata. Tuttavia, si stabilì che "la zona contigua non può estendersi oltre le dodici miglia dalla linea di base da cui viene misurata l'ampiezza del mare territoriale".

Una seconda questione riguardò la creazione di un meccanismo per la risoluzione pacifica delle controversie internazionali. Tuttavia, risultò inevitabile come un meccanismo obbligatorio di risoluzione delle controversie potesse essere stabilito unicamente come strumento separato a causa dell'opposizione di molti Stati al meccanismo di risoluzione sia da parte della Corte Internazionale di Giustizia che attraverso l’utilizzo dello strumento dell'arbitrato. Ad oggi, solo trentotto Stati hanno sottoscritto il Protocollo facoltativo di firma relativo alla composizione obbligatoria delle controversie.

Per concludere, il 17 marzo 1960, fu convocato a Ginevra l'UNCLOS II per discutere del limite esterno del mare territoriale e della zona di pesca. Per superare lo stallo su questo argomento, gli Stati Uniti e il Canada presentarono una proposta congiunta che prevedeva un mare territoriale di sei miglia più un massimo di sei miglia di zona di pesca esclusiva e un periodo di moratoria di dieci anni per la pesca oltre le sei miglia. Nondimeno, la proposta congiunta non passò per un solo voto. Di conseguenza, gli sforzi per fissare la massima ampiezza del mare territoriale all'UNCLOS II si rivelarono, ancora una volta, infruttuosi.

UNCLOS III

I lavori per la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare (UNCLOS III) ebbero inizio nel 1973 a New York e si conclusero, dopo undici sedute, nel 1982. Diversi fattori portarono alla revisione delle Convenzioni di Ginevra, ma quattro in particolare meritano di essere evidenziati: il controllo delle risorse naturali offshore, lo sviluppo della tecnologia riguardante la ricerca mineraria dei fondali marini, la protezione dell’ambiente marino (in particolare l’atteggiamento della comunità internazionale cambiò a seguito di una serie di incidenti che videro coinvolte petroliere, primo fra tutti l’incidente di Torrey Canyon del 1967) e, infine, i cambiamenti strutturali della comunità internazionale, dovuti alla conquista dell’indipendenza, a partire dagli anni ’60, delle ex regioni colonizzate (per i nuovi Stati indipendenti, le norme vigenti del diritto del mare servivano solo gli interessi degli Stati sviluppati ed era, quindi, naturale richiedessero la rivalutazione delle norme esistenti del diritto del mare nel suo complesso).

I lavori della Conferenza vennero condotti principalmente da tre commissioni: il primo comitato aveva come oggetto la revisione del regime legale per i fondali profondi oltre il limite della giurisdizione nazionale. Il secondo comitato fu incaricato della legislazione in tema di mare territoriale, zona contigua, ZEE, piattaforma continentale, stretti internazionali e acque arcipelagiche. Il terzo comitato si occupava della protezione dell'ambiente marino, della ricerca scientifica marina e del trasferimento di tecnologia. Alcune questioni, in ogni caso, furono discusse direttamente dall’Assemblea in seduta plenaria.

La UNCLOS III fu caratterizzata, inoltre, da tre elementi principali: l'universalità dei partecipanti, oltre alla partecipazione di una vasta gamma di osservatori, come organizzazioni intergovernative e non governative, territori fiduciari e Stati associati; la lunga durata della Conferenza, come abbiamo detto dal 1973 al 1982; l'enorme compito cui la Conferenza era stata incaricata.

Alla luce della complessità dei suoi compiti, l'UNCLOS III adottò procedure uniche e particolari per i negoziati, in primo luogo la procedura del consenso; alla luce delle differenze economiche, politiche e sociali nella comunità internazionale di quegli anni, il sistema di voto a maggioranza avrebbe potuto concorrere a creare minoranze escluse dal processo di voto. Per questo la regola 39 della Conferenza stabiliva che «la Conferenza dovrebbe compiere ogni sforzo per raggiungere un accordo su questioni sostanziali attraverso un consenso e non dovrebbe esserci alcuna votazione su tali questioni fino a quando tutti gli sforzi per giungere a tale consenso non saranno esauriti. Prima che una questione di merito sia messa ai voti, la determinazione che tutti gli sforzi per raggiungere un accordo generale siano stati espletati deve essere fatta».

Inoltre, per giungere ad un accordo sul testo unico da adottare, evitando la proliferazione delle singole proposte, il presidente della Conferenza raccomandò ai presidenti delle tre commissioni di preparare ciascuno un unico testo negoziale riguardante le materie affidate ai propri gruppi di lavoro.

Dopo varie revisioni dei testi, il progetto di convenzione sul diritto del mare venne adottato alla ripresa della decima sessione del 28 agosto 1981. Nell'undicesima e ultima sessione, una serie di modifiche e emendamenti vennero apportati al testo finale della Convenzione, in particolare per soddisfare le preoccupazioni degli Stati Uniti. La Convenzione sul diritto del mare (LOSC) è stata, infine, adottata il 30 aprile 1982 con 130 voti favorevoli, 4 contrari, 18 astenuti e 18 non registrati. Il verbale di voto ha dimostrato come praticamente tutti i paesi in via di sviluppo avessero votato per la Convenzione, ad eccezione di Stati Uniti, Israele, Turchia e Venezuela.

La grande importanza della LOSC risiede principalmente in quattro caratteristiche. In primo luogo, essa copre le questioni marine in modo completo, tanto da essere chiamata "costituzione per gli oceani", suddividendo gli oceani in cinque categorie: acque interne, mari territoriali, acque arcipelagiche, ZEE e mari ad alta quota. Un'altra importante innovazione della LOSC consiste nell’aver risolto la questione essenziale relativa all'ampiezza dei mari territoriali. Gli Stati avevano concordato un limite massimo delle acque territoriali di 12 miglia. A tale riguardo, è opportuno notare che la difficile questione relativa all'ampiezza dei mari territoriali si sarebbe potuta concludere solamente istituzionalizzando una nuova zona destinata allo sfruttamento delle risorse sotto la giurisdizione dello Stato costiero: la ZEE limitata a 200 miglia. In altre parole, l’unico modo per cui gli Stati avrebbero potuto raggiungere un accordo per quanto riguarda l'ampiezza del mare territoriale era quello di staccarsi dal tradizionale principio del dualismo che divideva il mare in acque territoriali e alto mare.

La LOSC ha, inoltre, evitato di fissare procedure obbligatorie di risoluzione delle controversie, limitandosi a stabilire come qualsiasi controversia relativa all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione debba essere presentata alle corti e ai tribunali internazionali aventi giurisdizione.

Infine, la Convenzione ha creato tre nuove istituzioni: l'International Seabed Authority, un'organizzazione internazionale che disciplina le attività nell'Area; il Tribunale internazionale per il diritto del mare, tribunale internazionale permanente per la controversia sul diritto del mare; la Commissione sul limite della piattaforma continentale, che ha il ruolo principale di effettuare raccomandazioni per quanto riguarda i limiti esterni della piattaforma continentale oltre le 200 miglia nautiche.

In conclusione, l'adozione della Convenzione sul Diritto del Mare non rappresenta il punto di arrivo finale del diritto del mare. Dopo il 1982, molti strumenti vincolanti e non vincolanti furono adottati in questo campo: l'accordo di attuazione del 1994 e l'accordo sulle scorte ittiche del 1995, ad esempio rivestono un'importanza particolare. Inoltre, le organizzazione internazionali, come l'Organizzazione marittima internazionale (IMO) e l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), forniscono continuamente un importante contributo allo sviluppo del diritto del mare, attraverso l’adozione di trattati e linee guida, permettendo così una costante innovazione e adattando il diritto del mare ai cambiamenti storici, politici ed economici.