di Luca Mattei

EUTANASIA, UN DIRITTO SENZA NORMATIVA

Pochi argomenti accendono il dibattito pubblico come il tema dell’eutanasia: parola originariamente coniata da Sir Francis Bacon nel 1605, all’interno del suo “Progresso della Conoscenza”, la parola viene coniata dall’autore inglese per sottolineare il dovere deontologico e umanitario del medico di far soffrire il meno possibile i malati incurabili e garantirgli una “buona morte". Con il passare del tempo il termine ha assunto connotati più vaghi e talvolta tragicamente negativi, come nel caso dell’accezione assunta dal termine durante il regime nazista, in cui, discostandosi profondamente dalle intenzioni di Bacon, venne utilizzato il termine “eutanasia sociale” per giustificare operazioni di eugenetica, dai fini tutt’altro che umanitari.

Tutt’oggi non c'è un significato univoco e universalmente condiviso di cosa si intenda per eutanasia; organizzazioni pubbliche e private e persino istituzioni utilizzano il termine eutanasia in maniera intercambiabile e ambigua; pertanto, si rendono necessari alcuni chiarimenti. Stando alla definizione maggiormente condivisa, per eutanasia “attiva” si intende l’indurre la morte di un paziente non più in grado di sopportare il dolore fisico e psicologico di una patologia o di un trauma, mediante la somministrazione di farmaci e dietro diretta ed esplicita richiesta del sofferente stesso. Nonostante presenti le medesime conseguenze, il concetto di “testamento biologico” completamente differente: in questo caso il malato, prima di essere reso inabile all’espressione diretta della propria volontà da traumi o patologie, redige un documento ufficiale in cui comunica precisamente il trattamento che intende subire. In questo caso la volontà del paziente viene espressa indirettamente. Medici e giuristi si sono spesso interrogati – e ancora discutono – sull’effettivo valore legale del così detto testamento biologico e sulla sua idoneità a rappresentare fedelmente la volontà del paziente, specialmente nel caso in cui il documento viene redatto molti anni prima della sua possibile applicazione.

Nel primo caso l’eutanasia viene detta attiva, poiché cagionata da un fattore esterno, ossia dalla procedura messa in atto dal personale sanitario. Nel secondo caso, invece, si parla di eutanasia “passiva”, perché indirizzata a garantire al paziente il diritto a non essere sottoposto a cure a lui sgradite o ad accanimento terapeutico, sebbene questo lo mantenga in vita.

L’eutanasia attiva si configura, dunque, come un diritto di elevata autodeterminazione personale: in molti paesi come Finlandia e Olanda è legale, mentre in Italia è penalmente perseguibile. Riguardo l’eutanasia passiva il discorso si è sviluppato in maniera differente, ed i legislatori per lungo tempo non si sono espressi sulla materia, come d’altronde accade sovente in contesti particolarmente delicati e controversi. Per decenni, il silenzio sul tema fu rotto soltanto da alcune sporadiche pronunce giurisdizionali, come quelle che riguardanti le tragiche vicende di Piergiorgio Welby, malato terminale di distrofia muscolare, ed Eluana Englaro, sfortunata vittima di un incidente stradale, rimasta in stato vegetativo per 17 anni. In questi casi isolati la magistratura, partendo dal disposto dell’Art. 32 della Costituzione Italiana, secondo il quale “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, ha concesso la “buona morte” ai pazienti.

Coerentemente, anche gli esecutori materiali delle eutanasie sono stati assolti dalle accuse di omicidio del consenziente (ex art. 579 comma1), nonostante alcuni tentennamenti. Per esempio, il Gip che si è occupato di indagare sulle responsabilità del Dottor Mario Riccio, l’anestesista che si era occupato di Welby, rifiutò di archiviare le accuse verso quest’ultimo.

Queste vicende non sono state ignorate dalla società civile, all’interno della quale si sono accesi importanti dibattiti che hanno spesso valicato i confini nazionali. Riguardo al tema, fecero grande scalpore le roventi critiche dell’esponente UDC Carlo Giovanardi, che nel 2006 evocò il pericolo di un nuovo programma eugenetico sul modello nazista, quelle del giornalista Giuliano Ferrara, nonché le posizioni ufficiali Chiesa Cattolica. Il partito dei Radicali Italiani, dei quali per altro Piergiorgio Welby faceva parte, fu per diversi decenni il più attivo nel sostenere la necessità di istituire un quadro legislativo per l’eutanasia.

Nonostante la grande attenzione mediatica, i legislatori hanno a lungo esitato a normare la disciplina per mettere fine ad ogni ambiguità, come censurato più volte dalla Corte Costituzionale. I primi risultati concreti sono arrivati soltanto di recente, precisamente nel 2017, quando fu approvata dal Parlamento la Legge n.219 del 22 dicembre, in vigore a partire dal 31 gennaio 2018. Grazie a questa legge, approvata al Senato con ampio consenso (180 favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti), venne istituito il DAT, o Disposizione Anticipata di Trattamento; ossia, il famoso “testamento biologico”, da formarsi con atto pubblico, o, rispettando alcuni requisiti, con scrittura privata.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- D. Neri “Autodeterminazione e testamento biologico. Perchè l'autodeterminazione valga su tutta la vita e anche dopo” Le Lettere, 2010.