di Lorenzo Bonaguro

European Security Treaty


«The Parties to this Treaty, desiring to promote their relations in the spirit of friendship and cooperation in conformity with international law»


Caduta l’Unione Sovietica un nuovo mondo di possibilità diplomatiche e alleanze sembrò aprirsi all’orizzonte. La fine dell’ “Impero del male” pose fine alla Guerra Fredda, al confronto costante fra Est e Ovest: l’Europa occidentale non rischiava più di vedersi volare sopra la testa missili nucleari. Ma questo scenario alla fine non si realizzò. Invece di istituire nuovi trattati di alleanza, i paesi occidentali preferirono espandere la NATO ai paesi dell’ex Patto di Varsavia, evitando sempre accuratamente di coinvolgere la neonata Federazione Russa in colloqui costruttivi.


Nel corso degli anni Novanta l’espansionismo e l’interventismo dell’alleanza atlantica, soprattutto nei Balcani, suscitarono molte perplessità da parte di Mosca, dove si diffuse la convinzione che per gli atlantisti la Russia non aveva cessato di essere un nemico. Il senso di accerchiamento russo non faceva che crescere per quella che a molti pareva una “politica dei blocchi” continuata per semplice inerzia. Nell’estate del 2008 sembrò profilarsi all’orizzonte una svolta: il Presidente Medvedev propose un trattato di sicurezza per costruire un nuovo spazio europeo di sicurezza esteso dall’Atlantico agli Urali.


La proposta fu poi portata formalmente davanti alle Nazioni Unite e all’Unione Europea. L’anno successivo fu presentata anche una bozza di testo che non presentava nessun dei temi che erano stati sollevati qualche mese prima, nessuna traccia di: controllo sugli armamenti, costruzione di fiducia reciproca, proliferazione di armi di distruzione di massa, terrorismo, lotta alla droga e alla criminalità internazionale. Solo dei vaghi principii di pace e sicurezza, coincidenti con la Carta delle Nazioni Unite, erano enunciati: «principles of indivisible, equal and undiminished security».


Il punto forte della proposta russa era l’articolo 3, in base alla quale doveva essere costruito un meccanismo di concertazione. In questo modo i Paesi membri avrebbero potuto consultarsi e coordinare le rispettive politiche di sicurezza e, così facendo, si sarebbe ridotta l’insicurezza collettiva e la stabilità ne avrebbe beneficiato.


Oltre alla vaghezza dei principii, dubbi furono sollevati anche sulle conseguenze delle politiche di sicurezza di un paese su tutti gli altri. In base all’articolo 2, la Russia avrebbe potuto contestare qualunque iniziativa della NATO e viceversa. Il testo è ancora più preciso: «previous obligations should not contradict the new treaty», il paragrafo 3 mirava precisamente a immobilizzare l’organizzazione atlantica. I critici hanno rimarcato che per andare incontro alle preoccupazioni russe esistevano già da tempo strumenti per la sicurezza e la pace in Europa: l’ OSCE, l’Atto Finale di Helsinki e i colloqui Russia-NATO. Questa è stata alla fine la strada scelta per affrontare la delicata questione della sicurezza europea, mentre l’iniziativa di Medvedev è stata messa da parte dallo stesso Cremlino.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:


  • The draft of the European Security Treaty


  • Richard Weitz, “The Rise and Fall of Medvedev’s European Security Treaty”.


  • Andrei Zagorski, “The Russian Proposal for a Treaty on European Security: From the Medvedev Initiative to the Corfu Process”