di Chiara CarnevaleJURIS

CEDU E ITALIA : IL CASO SULEJMANOVIC

"Il fine dunque, non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini, e di rimuovere gli altri dal farne uguali"

C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764

L’intera nostra società - in special modo quella occidentale - si fonda sui diritti fondamentali dell’uomo, perseguiti storicamente dalla società civile attraverso secoli di lotte, basti pensare alle rivoluzioni avvenute in tutto il mondo, in particolare nel XX secolo. Tali diritti hanno poi trovato coronamento con la Dichiarazione Universale del 1948 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che stipulò così un primo grande successo data la sua ragion d’essere. Tuttavia, non sempre vengono tutelati e, talvolta, sono persino violati dalle stesse istituzioni che dovrebbero assumerne il ruolo di garanti.

Storicamente, di casi ce ne sono stati tanti e tuttora ve ne sono, spaziando per ogni categoria di diritti. Peculiari sono quelli che riguardano il trattamento inumano e degradante delle persone detenute e un esempio è il caso che ha visto condannare proprio l’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) con la sentenza di Strasburgo “Sulejmanovic contro Italia” del 16 Luglio 2009.

Itez Sulejmanovic, ex detenuto dell’istituto penitenziario di Rebibbia a Roma, nel 2003 sollevò un ricorso contro la Repubblica Italiana, con il quale ha adito la Corte in virtù dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nello specifico, Sulejmanovic reclamava l’insufficienza di spazio personale, in quanto egli fu recluso in diverse celle da 16,20 metri quadri ciascuna, tuttavia condivise dapprima con altre cinque persone, disponendo così di uno spazio personale di 2,70 metri quadri; in seguito, in uno spazio ogni volta diverso per una superficie media di 3,40 metri quadri. Per di più, ha ribadito di essere stato rinchiuso troppe ore quotidiane in cella, potendo lasciare questa solo nelle ore destinate al consumo dei pasti, e di aver ricevuto sempre esiti negativi ogni qual volta richiedeva di svolgere il lavoro intramurario previsto dall’articolo 20 dell’ordinamento penitenziario italiano.

La Corte EDU, con la sentenza del 2009, ha lucidamente dichiarato che la riduzione dello spazio personale in cella è da considerarsi un trattamento inumano e degradante e viola, pertanto, l’articolo 3 della Convenzione , rubricato come “Divieto della tortura” e che recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti». La norma internazionale in questione è stata lesa più volte dall’Italia. Infatti, nel 2013 la Corte di Strasburgo ha pronunciato la sentenza pilota “Torreggiani e altri contro Italia”, sollevata dal ricorso di ben sette detenuti, affermando la grave staticità del problema del sovraffollamento carcerario e condannando l’Italia a indennizzare i ricorrenti, in quanto la violazione della norma rappresenta già in sé una soddisfazione equitativa per il danno.

Successivamente, il Governo italiano ha adottato il Decreto Legge n.92 del 26 Giugno 2014, divenuto Legge due mesi dopo, per ottemperare a quanto stabilito dalla Corte EDU conseguentemente alle condanne e ai richiami comunitari della stessa. La Legge (numero 117 dell’11 Agosto 2014), avendo come obiettivo la riduzione del sovraffollamento degli istituti penitenziari, presentava i seguenti punti salienti: la limitazione del ricorso alla pena preventiva, fatta eccezione per i reati a elevata pericolosità sociale; la risarcibilità (intesa anche come sconto di pena) per le persone private della libertà personale detenute in condizioni inumane; l’estensione dell’applicazione delle norme pro minorenni ai soggetti di età inferiore ai 25 anni, anche in questo caso eccetto reati a elevata pericolosità sociale.

In realtà, il principio di umanità della pena è già presente nell’articolo 27 della Costituzione italiana, il quale, oltre a vietare i trattamenti contrari al senso di umanità, dispone che le pene debbano avere un fine rieducativo per il condannato. Il sistema di diritto e di Corti nazionali e sovranazionali predispone, dunque, che non vi possa essere alcuno spazio anche per la minima violazione di principi e diritti umani ritenuti fondamentali e riconosciuti normativamente dalle Costituzioni e Convenzioni internazionali.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Sentenza della CEDU https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page…

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