di Andrea Bernabale

LA DOTTRINA TRUMAN


«I popoli liberi dal mondo guardano a noi per cercare appoggio nella difesa delle loro libertà. Grandi responsabilità sono state poste sopra di noi dal rapido corso degli eventi.»

- Harry S. Truman -


Caposaldo della politica estera americana tra la fine degli anni ‘40 e inizio anni ‘50, la dottrina Truman (dal nome del presidente statunitense che la enunciò) delineava una pragmatica politica di contenimento del comunismo, in special modo in quei Paesi che avvertissero “pressioni” esterne, come ebbe a dire lo stesso Harry S. Truman nel discorso pronunciato al Congresso il 12 marzo 1947. Fu, per tale motivo, anche detta “dottrina del contenimento” e, seppure l’Unione Sovietica non era esplicitamente menzionata nel discorso enunciativo di Truman, il riferimento alle “pressioni esterne” faceva intendere chiaramente che si stesse parlando della minaccia sovietica.

Occorre, tuttavia, chiedersi perché la dottrina fu formalizzata proprio nel 1947, due anni dopo l’elezione di Truman alla Casa Bianca, e a quali Paesi in “pericolo” Truman si riferisse concretamente. Quale nazione sovrana rischiava di cadere sotto l’egida sovietica?

Per rispondere a tale domanda occorre una premessa, che costituisce il “movente” all’enunciazione di Truman della sua dottrina.

Nel febbraio 1947, la Gran Bretagna, la cui crisi economica post-bellica non consentiva più una buona gestione del suo impero e della sua influenza nel Mediterraneo, annunciò che non avrebbe più finanziato e aiutato militarmente i governi di Grecia e Turchia. Il disimpegno britannico apriva il sipario a uno scenario geopoliticamente preoccupante per gli Stati Uniti, poiché significava che in due Paesi, in preda ad agitazioni interne, potessero presto instaurarsi regimi filo-comunisti. D’altronde la preoccupazione non era infondata, dal momento che in Grecia si consumava una guerra civile che contrapponeva un governo filo-occidentale ad un’insurrezione comunista nel nord del Paese.

Il bacino mediterraneo orientale era stato storicamente sotto l’influenza britannica sin dal XIX secolo, inclusa la regione mediorientale. L’area si rivelò importante durante la seconda guerra mondiale, ma lo divenne ancora di più nella guerra fredda, dal momento che la rivalità tra le due superpotenze si prefigurava come una strategica partita di scacchi giocata sui territori delle varie nazioni “libere”, seppur rispondenti alla logica bipolare. La conquista di un territorio sotto la propria sfera d’influenza equivaleva ad acquisire il controllo di una nuova pedina sullo scacchiere internazionale, una pedina che, in base alla propria posizione, acquisiva maggiore rilevanza in relazione ad un potenziale attacco alla superpotenza rivale.

In altre parole, la possibile presenza sovietica nell’area mediterranea, che avrebbe spazzato via l’influenza britannica, significava compromettere la possibilità delle potenze occidentali di lanciare attacchi strategici all’Unione Sovietica dalle basi presenti nell’area mediterranea.

Nelle preoccupazioni di Truman e dei suoi consiglieri, dunque, il declino dell’influenza britannica nel Mediterraneo avrebbe lasciato un vuoto, che sarebbe stato minacciosamente colmato dall’URSS.

Oltretutto, in relazione alla Grecia, che era considerata una barriera tra l’Unione Sovietica e il Mediterraneo, iniziava a serpeggiare una prima formulazione di quella che sarà poi definita la “teoria del domino”: ovvero, l’instaurazione di un regime comunista in un Paese in una data area geografica avrebbe presto “contagiato” altri paesi vicini, dando vita, per l’appunto, ad un effetto domino. Seppur priva di solidi fondamenti, tale teoria influenzava e terrificava non di poco la classe dirigente statunitense ossessionata dall’espandersi del comunismo.

Tale scenario non sarebbe stato tollerato e la risposta concreta della dottrina Truman fu pronta ed efficace: stanziare un pacchetto di aiuti economici a Grecia e Turchia, consistenti in ben 400$ milioni di dollari. Turchia e Grecia erano salve.

In termini più estesi, invece, la dottrina ebbe ripercussioni anche in altre zone d’Europa, come Italia e Francia, dove i governi vennero invitati a lasciare fuori i partiti comunisti. Un momento di intreccio tra politica estera ed interna di questi paesi.

Ma fu altrettanto significativa per la politica statunitense stessa: sul piano domestico diede adito all’ossessione comunista e alla cosiddetta “caccia alle streghe” maccartista, mentre in politica estera significava il definitivo abbandono della dottrina Monroe di isolazionismo e supremazia statunitense nel continente americano. La politica estera statunitense era ora una politica di respiro globale.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • J. Gaddis, “La guerra fredda”, Mondadori, 2007