di Andrea Bernabale

IL DOPOGUERRA GIAPPONESE: DALL’OCCUPAZIONE MILITARE ALLA DEMOCRAZIA


«Oggi la libertà è all’offensiva, la democrazia è in marcia. Oggi, in Asia così come in Europa, i popoli liberi assaporano la dolcezza della libertà, la libertà dalla paura.»

gen. Douglas MacArthur


Al termine della seconda guerra mondiale, le potenze sconfitte subirono l’occupazione militare delle potenze alleate. Così come la Germania, anche il Giappone subì l’occupazione post-bellica, seppure in forma diversa e meno problematica rispetto al caso tedesco.

In seguito alla resa incondizionata, il 2 settembre 1945, il generale Douglas MacArthur, in accordo con il Comando Supremo delle Potenze Alleate (CSPA), ottenne infatti il controllo sul Giappone.

In un primo momento, gli americani - che avevano combattuto estenuanti battaglie nel Pacifico contro il nemico nipponico - si prefissero l’obiettivo di demilitarizzare e democratizzare il Giappone per evitare una rinascita dell’imperialismo nipponico ma, nel 1947, agli albori della guerra fredda, sembrò più funzionale trasformare il Giappone in una sentinella che facesse da argine all’espandersi del comunismo in Asia.

Si trattava, dunque, di esercitare una forte influenza nel Paese affinché si consolidasse un pieno spirito democratico mediante l’azione delle istituzioni, in uno dei primi tentativi di “esportazione della democrazia” americana. Come in Germania, anche in Giappone venne istituito un tribunale penale ad hoc, ovvero il Tribunale di Tokyo, chiamato a processare tutti coloro si erano macchiati di crimini di guerra durante il secondo conflitto mondiale. Sotto le pressione del CSPA fu abolito il Ministero della Guerra e, su impulso di MacArthur, fu proposta e approvata una nuova Costituzione che spazzasse via ogni residuo di elitismo, militarismo e autoritarismo.

Tuttavia, l’azione di MacArthur e del CSPA non si fermava solo a questi propositi ma andava oltre, intervenendo in modo invasivo sulla legislazione nipponica dei primi anni del dopoguerra. Cinque furono le macro-aree soggette a riforma dagli americani, che forgiarono il Giappone degli anni a venire in termini economici, politici e sociali.

Una prima area di riforma riguardò, nel 1946, quella della redistribuzione delle terre, eliminando in buona parte lo strapotere dei proprietari terrieri e favorendo invece l’emergere di una classe media che sarebbe stata il baluardo della democrazia. Circa 2,3 milioni di proprietari terrieri furono costretti a vendere le proprie terre allo Stato a prezzi decisamente sotto il valore di mercato, a loro volta rivendute dallo Stato a nuovi proprietari a prezzi più che benevoli.

Un secondo filone di riforme riguardò l’istituzione dei sindacati, anch’essi in un’ottica di incoraggiamento di tendenze democratiche. Ebbero una straordinaria diffusione e adesione nel Paese, più del dovuto, tanto che, agli inizi del ‘48, una nuova legge fu emanata dal governo in comune accordo con il CSPA per limitare il potere dei sindacati nelle cui file si erano formati leader di orientamento filo-comunista.

Altro obiettivo al centro dell’agenda riformatrice era l’eliminazione dei zaibatsu, una concentrazione industriale e finanziaria che, a detta degli americani, era stata fortemente collaborazionista con le elite militari negli anni ‘30, favorendo l’entrata nel conflitto del Giappone.

Buona parte di questi potenti gruppi furono dissolti favorendo una maggiore dispersione della ricchezza, che avrebbe alimentato un processo democratico.

L’istruzione fu il quarto pilastro: avrebbe dovuto incoraggiare l’individualismo e incoraggiare, allo stesso tempo, una società giusta. Se fino ad allora le scuole giapponesi avevano formato dei sudditi, con forti tendenze all’estremismo nazionalista come logica conseguenza della venerazione della Nazione, l’idea di MacArthur e del CSPA era quella di riformare radicalmente il sistema educativo giapponese a partire dal corpo insegnanti. Innumerevoli furono infatti gli insegnanti forzati alla pensione, al fine di rendere inattivi tutti coloro che avevano esercitato la professione durante il periodo imperiale.

Infine, il vero baluardo della democrazia era senz’altro rappresentato dalla nuova Costituzione, che assegnava piena sovranità al popolo nipponico, mentre l’imperatore veniva relegato ad essere simbolo dello Stato. Acquisivano diritto di voto tutti i cittadini che avessero compiuto 20 anni, senza distinzione di genere, reddito o status sociale. Furono istituite due Camere parlamentari, 31 articoli che definissero l’intero complesso dei diritti umani fondamentali, il rispetto degli individui, la libertà di pensiero e l’uguaglianza.

Ma soprattutto, l’art.9 della suddetta Costituzione lasciava un segno indelebile: la rinuncia alla guerra, in ogni caso e non soggetta ad interpretazione alcuna.

Nel maggio 1952 gli americani lasciarono il Giappone, ponendo fine all’occupazione militare e alle riforme imposte, lasciando un Paese ancora alle prese con le difficoltà economiche ma consci e soddisfatti di esser riusciti nella loro opera riformatrice: la democrazia in Giappone era stata esportata con successo.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • “Storia del Giappone”, di R. Caroli e F. Gatti, Laterza, 2016