di Andrea Bernabale

IL COMECON (1949-1991)


Acronimo del “Consiglio per la Mutua Assistenza Economica”, il Comecon fu fondato nel gennaio 1949 a Mosca con il chiaro intento dell’URSS di legare a sé i Paesi satellite dell’Est Europa, attraverso un comune piano economico. È facilmente intuibile, infatti, come il Comecon sia stata una pronta risposta al piano Marshall promosso dagli statunitensi per la ricostruzione nell’Europa occidentale all’indomani del termine della guerra, lo stesso piano Marshall che si proponeva di aiutare - e quindi di inglobare nella propria sfera di influenza - proprio gli Stati dell’Europa orientale, anch’essi in grande difficoltà economica, per sottrarli alla sfera d’influenza sovietica. Scopo del Comecon, come del resto la futura CEE, era quello di incrementare gli scambi tra gli stati membri e fornire mutua assistenza per l’approvvigionamento di materie prime, cibo, macchine da lavoro, equipaggiamenti e altre categorie di beni economici scambiabili.

Tra gli stati fondatori vi furono la Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania e, ovviamente, l’Unione Sovietica. Nel febbraio ’49, solo un mese dopo dalla sua nascita, al Comecon aderì anche l’Albania e, successivamente, nel 1950, anche la Germania Est, seguita dalla Mongolia nel 1962, Cuba nel 1972 e la Repubblica Democratica del Vietnam nel 1978. Quasi tutta l’economia mondiale socialista era rappresentata nel Comecon durante la guerra fredda. Altri stati socialisti ma dichiaratamente non-allineati alla logica dei due blocchi, come la Cina Popolare o la Corea del Nord, detenevano invece lo status di osservatore.

Come desumibile, alla base di questo comune progetto economico vi era senza dubbio un collante ideologico, trattandosi di Stati a sistema monopartitico marx-leninista e da economie pianificate.

Nella sua prima fase, ovvero dalla sua nascita fino al 1956 circa, anno in cui Chruscev divenne segretario del PCUS, la cooperazione tra gli Stati fu piuttosto libera e poco regolamentata. A partire dal 1956, invece, si registrò un grande incremento delle attività promosse dal Comecon, di cui i progetti di unificazione dell’energia elettrica o la creazione della Banca Internazionale per la Cooperazione Economica (IBEC), nel 1963, per facilitare gli investimenti tra gli Stati membri e che, negli anni ’70, finanziò numerosi progetti nell’Europa orientale, oltre a fornire credito a basso tasso d’interesse per facilitare lo sviluppo degli Stati membri. Tuttavia, molte delle iniziative promosse da Chruscev con l’intento di creare sempre un più fitto sistema di cooperazione economica coordinata a livello centrale, trovò la ferma opposizione degli altri Stati aderenti al Comecon, che non volevano rinunciare a quei residui di sovranità in materia economica, ostacolando quella che veniva indicata come “l’integrazione economica socialista”, speculare a quella della nascente CEE. Gli anni ’80, in realtà, rivelarono i grandi limiti dell’economia socialista e ben presto il Comecon iniziò a fronteggiare, al suo interno, le crisi del debito ungarico e polacco, nonché il rallentamento dei tassi di crescita di tutte le economie pianificate. Nel 1985, il nuovo leader sovietico Michail Gorbacev provò a rivitalizzare il Comecon con il “Programma per il Progresso Scientifico e Tecnologico” che non ebbe, però, il successo sperato per via del poco interesse da parte degli Stati che si trovano a fronteggiare gravi crisi economiche interne, nonché fasi di instabilità politica. Nel 1991, con la disgregazione dell’URSS, anche il Comecon perse la sua ragione di vita e gli Stati che prima ne avevano fatto parte aprirono le porte all’Occidente e all’economia di mercato. Anni più tardi, alcuni Stati entrarono anche a far parte dell’Unione Europea (ex CEE).

Tirando le somme, il Comecon, durante la guerra fredda, fu un sistema funzionale all’URSS, in quanto permetteva un trasferimento di risorse economiche dagli Stati satellite a Mosca, completando quella strategia di dominio sovietico nell’Est Europa, oltre che politica, anche economica. Ma fu, soprattutto, una risposta prima al piano Marshall e, poi, alla Comunità Europea e all’EFTA, confermando l’insanabile divisione dell’Europa in blocchi anche sul piano economico: l’Europa del libero mercato e l’Europa dell’economia socialista pianificata.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


- A. Graziosi, “L’Unione Sovietica (1914-1991), il Mulino, 2011