Di Adelmo M. Imperi

Sport e Nazismo

Hitler e le Olimpiadi del 1936

La strumentalizzazione dello sport non fu una peculiarità esclusiva del fascismo italiano; anche gli altri regimi totalitari che in quegli anni si affermarono, sfruttarono intensamente l’attività fisica e lo sport al fine di ottenere una preparazione paramilitare e militare di alto livello, ed anche per veicolare messaggi di tipo propagandistico ideologico – politico. Le attività ginniche e sportive che durante i regimi vennero praticate furono quindi militarizzate e trasmisero valori imposti. Emblematico e soprattutto paradossale è il caso del nazismo tedesco: il Führer, già nel 1920, approvò infatti un articolo nei principi programmatici del partito, che prevedeva per la gioventù tedesca corsi di ginnastica sostenuti finanziariamente dallo Stato. Tra gli sport che i giovani dovevano imparare a praticare perfettamente prevaleva il pugilato, capace di sviluppare gli istinti aggressivi e la resistenza fisica, e sport affini come la lotta. In altre parole, per il nazismo la concezione di sport era basato esclusivamente sulla pratica di discipline che avessero come scopo principale quella di allenare gli istinti e la preparazione fisica per scopi bellici. Questa estremizzazione della concezione di sport prevalentemente votata alla guerra e l’ideologia prettamente razzista del nazismo tedesco fece sì che - a differenza di Mussolini e delle grandi democrazie che per motivi diversi la considerarono una grande opportunità per dare loro risalto - per un lungo intervallo di tempo le manifestazioni sportive pacifiche e di caratura internazionale e in particolare delle Olimpiadi, fossero viste di cattivo occhio da Hitler e i suoi seguaci. Per il partito, infatti, non era per niente ammissibile che i puri e ariani atleti tedeschi gareggiassero contro atleti di origine slava, ebraica o nera considerati discendenti da razza inferiore; in secondo luogo, tali manifestazioni, in particolare i Giochi, erano espressamente consacrati alla competizione pacifica tra i popoli indipendentemente dalla razza, religione e ideologia mentre - come detto prima - gli ideali che spingevano il partito nazista a incentivare lo sport avevano scopi diametralmente opposti a quelli decantati da De Coubertin. In virtù di ciò, quando il 13 maggio 1931 il CIO elesse ufficialmente Berlino come città ospitante dell’edizione dei Giochi del 1936, le proteste di Hitler, allora ancora all’opposizione, e di tutto il movimento nazista furono veementi ed ebbero clamore in tutta la Germania. Quella scelta fu infatti vista da Hitler come un inaccettabile insulto nei confronti della Nazione che, non solo avrebbe fatto inquinare i puri atleti tedeschi facendoli gareggiare contro gli sportivi inferiori provenienti da tutto il Mondo abbassandoli al loro livello, ma addirittura li avrebbe accolti direttamente nelle sue terre senza neanche battere ciglio.

Da ciò Hitler fu inorridito, quando però divenne Cancelliere, e a seguito del successo ottenuto dall’Italia del suo mentore Mussolini ai Giochi del 1932, nonché grazie ai consigli del presidente del comitato organizzatore tedesco (GOC) Theodor Lewald, la posizione di Hitler nei confronti delle dello Sport e delle Olimpiadi si smussò fino addirittura a ribaltarsi. Il Führer, grazie all’esempio portato dall’amico Mussolini, comprese che in termini di consenso popolare, lo sport era un veicolo fondamentale. Pertanto, il primo provvedimento che prese, fu quello di diffondere una pratica sportiva per tutta la popolazione e non più indirizzata alle sole persone che potevano essere impiegate per il servizio militare. Così facendo avrebbe potuto raggiungere la totalità della gioventù tedesca e mediaticamente tutta la popolazione teutonica. Inoltre, se alla pratica fosse stata aggiunta la possibilità di organizzare un evento di portata internazionale, lo splendore del Terzo Reich avrebbe avuto un ritorno d’immagine mediatica decisamente molto più amplificato e soprattutto, per lui che aveva palesemente ambizioni imperialiste, questo sarebbe stato maggiormente evidente anche oltre i confini tedeschi. Hitler allora capì che l’evento che più di tutti si prestava per l’enorme effetto propagandistico che avrebbe potuto ottenere, vista la grande affluenza di giornalisti che sarebbero accorsi in Germania erano le Olimpiadi e, inoltre, la sua abilità fu quella di rendersi conto degli importanti introiti di cui la Nazione avrebbe beneficiato se ne avesse ospitata una. Fu così che il Reich, dopo una fase di incertezza, diede, pur con qualche riserva, la sua approvazione a far disputare i Giochi a Berlino. Coerenti con l’ideologia politica totalitaria, il suo obiettivo però, fu di creare un’edizione dei Giochi Olimpici estremamente densa di messaggi legati alla sponsorizzazione del nazismo e della sua filosofia. In particolar modo, volevano mettere in luce la grandezza del regime e, attraverso l’intensa preparazione atletica che venne data agli sportivi tedeschi partecipanti, mostrare la superiorità della razza ariana. Il voler ostentare la superiorità teutonica era però un’azione pubblica considerata dal CIO razzista, in quanto prevedeva la denigrazione di altre etnie. Per tale ragione il comitato cercò con decisione di impedire che tale messaggio filtrasse attraverso la manifestazione ricordando agli organizzatori che ogni atto razzista compiuto sarebbe stato perseguibile con l’annullamento dei Giochi. Tuttavia il braccio di ferro tra CIO e partito nazista non si interruppe dopo quel monito del comitato: durante lo svolgimento dei Giochi, molti messaggi propagandistici, grazie anche alla presenza di un denso simbolismo, furono inevitabilmente trasmessi e volutamente diffusi dai filmati, dalla stampa e dai discorsi stessi dello stato maggiore del partito. Nonostante, quindi, qualche clamorosa impresa sportiva in terra tedesca dei nemici di Hitler, emblematica in questo senso è la vittoria del corridore afroamericano Jesse Owens, la consacrazione del mito del regime nazista e dello splendore della macchina organizzativa da questo costruita e ben sfoggiata mediante l’organizzazione delle Olimpiadi, furono uno dei momenti in cui l’allievo Hitler superò il maestro Mussolini. Uno dei paradossi più grandi in questo senso, fu infatti che la tanto anelata e programmata Olimpiade che Mussolini non riuscì ad ottenere, pose le basi e le linee guida affinché Hitler, che disprezzava l’Olimpiade e nonostante ciò se la ritrovò già ottenuta, riuscisse, basandosi sul progetto fascista, a realizzare un evento grandioso dal punto di vista propagandistico e organizzativo nella stessa maniera in cui l’aveva immaginato Mussolini. Anche se il progetto sportivo di Hitler fu sostanzialmente un allineamento al grande lavoro messo in atto da Mussolini, la fortuna che ebbe il Führer ad ospitare una Olimpiade, che probabilmente non avrebbe mai ottenuto se fosse salito al potere prima, contribuì a diffondere l’idea che il nazismo, a pochi anni dalla guerra, si presentasse al Mondo come una grande, potente e temibile Nazione, e che l’Italia nello scacchiere internazionale, invece, avrebbe giocato un quasi trascurabile ruolo secondario.


Letture e approfondimenti

  • F. Buffa e P. Frusca, "L' ultima estate di Berlino", Rizzoli, 2015