Di Adelmo M. Imperi

LO SPORT NELL’ITALIA REPUBBLICANA


La questione dell’uso politico dello sport assunse caratteri differenti dopo la sconfitta di fascismo e nazismo. Tuttavia anche nel contesto della Guerra Fredda, lo sport non si svincolò mai dalla sua dimensione politica. L’Italia in questo senso fu paradigmatica perché incarnò le contraddizioni e le ambivalenze del nuovo ordine internazionale e dello scontro ideologico a esso connesso.

Com’è noto, a seguito della caduta del fascismo e della presidenza Badoglio, furono instaurati due governi Bonomi tra il 22 giugno 1944 e il 21 giugno 1945, e successivamente il governo Parri tra il 21 giugno 1945 e il 10 dicembre dello stesso anno. Tutti questi esecutivi ebbero in comune l’obiettivo di espellere dalle istituzioni e dai centri di potere tutte le figure che avevano collaborato con il regime. Uno degli uomini che durante il governo Bonomi venne nominato per tale scopo fu Giulio Onesti incaricato di smantellare le istituzioni sportive dai residui del fascismo. Cresciuto tra le fila del socialismo italiano, il trentaduenne avvocato fu proposto il 21 ottobre 1944 da Pietro Nenni commissario straordinario governativo, con l’incarico di liquidare il CONI in quanto troppo compromesso. La volontà di smantellare il CONI era sentita in particolare da parte dei socialisti poiché la pratica sportiva veniva vista dalla sinistra italiana ancora con profonda diffidenza. Oltre a vecchi pregiudizi sull’esercizio fisico visto come rito essenzialmente borghese, si sommava infatti una radicata sfiducia sia per le attività motorie organizzate che per gli sport in genere. Il rapido sviluppo di quest’ultimi durante il periodo fascista e l’uso che ne fece il suo leader, sembravano confermare l’idea e i timori delle sinistre in merito al fatto che lo sport fosse prima di tutto un mezzo attraverso il quale le classi privilegiate costruissero consenso e distogliessero l’attenzione da problemi più impellenti, vale a dire alle lotte anticapitalistiche e antifasciste. Quando Onesti assunse la carica però, invece di iniziare il progressivo smantellamento preferì non buttare via ciò che di buono era stato creato nell’epoca mussoliniana. Si spinse oltre preferendo mantenere quella rigidità, disciplina e capacità organizzativa che durante il ventennio caratterizzò il CONI fino a diventare il fiore all’occhiello del regime. Invece di proseguire con i licenziamenti iniziati con Badoglio nel 1943, decise di avviare un processo di riassunzione di quegli impiegati che avevano mostrato capacità lavorativa negli anni del fascismo e che avrebbero dimostrato la stessa competenza negli anni della Repubblica. L’avvocato dunque riformò l’ente ma ne difese alcune prerogative che lo avevano caratterizzato durante il periodo fascista facendo esplodere le proteste di alcuni attori del mondo dello sport che invece auspicavano una totale rifondazione del sistema. In discontinuità col fascismo egli tentò peraltro di rendere l’ente più separato dalla politica e dall’esecutivo.

Lo slogan da lui coniato e che ripeté spesso fu infatti “Lo sport agli sportivi!” proprio per indicare la sua volontà di rendere il CONI un organo indipendente e autonomo. Questo obiettivo si dovette scontrare però con una difficile realtà: il patrimonio immobiliare del CONI era notevole, ma molti impianti erano stati abbandonati o semidistrutti a causa della guerra e dalla crisi finanziaria che ne era seguita. Se durante il periodo fascista il CONI aveva infatti potuto rendere questi impianti funzionanti e ben curati grazie al costante rimpinguamento delle sue casse da parte dello stato, i finanziamenti furono poi interrotti e l’ente subì progressivamente perdite fino ad arrivare al dissesto economico. Onesti, che aveva appunto intenzione di rendere l’ente indipendente, sapeva benissimo che in una condizione di disagio economico il CONI sarebbe inevitabilmente ricaduto sotto l’influenza di qualche governo o partito politico. Nella primavera del 1946 l’avvocato e i suoi collaboratori si dedicarono dunque a studiare un modo per invocare provvedimenti di legge che privilegiassero il CONI nei meccanismi di distribuzione dei ricavi provenienti da giochi e concorsi di Stato. In un secondo momento si rivolse poi ad un uomo che in ambito sportivo stava facendo parlare molto di sé: Massimo Della Pergola, ossia, come visto, l’ideatore del famoso TOTOCALCIO. Dopo un primo esperimento che diede buoni riscontri, esso si diffuse notevolmente nello stivale facendo rientrare nelle casse del CONI decine di milioni di lire che permisero all’ente di poter pagare gli stipendi ai dipendenti e di rifondare l’organo decisionale. A quel punto, forte delle importanti operazioni concluse con successo, nell’estate del 1946 Onesti si dimise dalla carica di commissario governativo del CONI e si candidò alla presidenza dell’ente. Carica che ottenne grazie ad un considerevole consenso intorno alla sua figura che alle elezioni per la presidenza fu espresso con 16 voti favorevoli su 23.

Sebbene egli fosse cresciuto in ambiente socialista e fossero stati gli stessi socialisti a sostenere la sua candidatura al CONI, la sua peculiare attenzione al fenomeno sportivo lo spinse a ridimensionare l’appartenenza politico–ideologica e a cercare di svincolarsi da essa. Fu per questo che quando a palazzo Barberini, nel 1947, a seguito dei cambiamenti politici in corso, il partito socialista si scisse, e l’avvocato decise di non schierarsi con nessuno dei due tronconi ed uscire definitivamente dal partito in modo tale da non ledere al principio d’indipendenza della sua nuova carica. In tale processo di deideologizzazione Onesti trovò un inaspettato alleato in Giulio Andreotti, divenuto nel 1947, a soli ventotto anni segretario dell’allora presidente del Consiglio DC Alcide De Gasperi. I due infatti si trovarono subito d’accordo sul fatto di dover scindere la sfera sportiva da quella politica: Andreotti accettò il principio d’indipendenza chiesto da Onesti con la riserva che egli avrebbe messo alla prova la capacità dell’ente di muoversi in accordo con le regole democratiche della Nazione. Il segretario DC comprese subito che sarebbe stato molto più efficace ed economico indirizzare lo sport dall’esterno piuttosto che creare un ministero e farne uno strumento clientelare del partito. Inoltre in tal senso sarebbe stato possibile rendere il CONI un’opportunità per sostenere il disegno strategico del governo finalizzato alla ricostruzione del paese dal punto di vista urbanistico e industriale in un quadro liberista e atlantico. Dall’altro lato Onesti si conquistava un padrino non di poca influenza proveniente dalla classe politica senza dover rinunciare alla sua indipendenza. La prima manovra che il presidente Onesti applicò, fu quello di sviluppare ulteriormente la SISAL: Il 19 settembre 1948 venne lanciato il primo concorso Totocalcio con una nuova formula che permetteva di giocare fino a 512 colonne. Il gettito costante e considerevole prodotto dal Totocalcio garantì l’indipendenza economica e morale dell’ente. Il cambiamento per le finanze del CONI fu tale che Onesti cominciò subito a parlare di un imponente programma di costruzione di nuovi impianti al fine di favorire lo sviluppo dello sport nazionale. L’avvocato stava tentando di creare un ente che fosse in grado di controllare la gran parte del sistema sportivo cercando di assoggettare a sé la maggior parte delle associazioni presenti. Dove non fu possibile per potersi muovere senza avere troppe difficoltà, provò a stringere rapporti di buon vicinato con gli enti di propaganda sportiva che si erano costituiti come conseguenza del rinnovato interesse di alcuni partiti sul tema. Il primo di questi a formarsi nel 1946 fu il Centro Sportivo Italiano (CSI) che si collegava al movimento di Azione Cattolica (AC), e alla DC: quando Onesti aprì un confronto con esso per raggiungere degli accordi, egli trovò agevolmente un ottimo alleato per tutta la sua presidenza. Il secondo ente con cui tentò di stringere alleanza fu l’Unione Italiana Sport Popolari (UISP) di matrice comunista, i rapporti con questo però, furono molto più complessi e conflittuali.

Nonostante il continuo braccio di ferro con lo Stato che, pur sostenendo ed esortando alla ricostruzione degli impianti sportivi, cercava progressivamente di attingere tramite leggi fiscali sempre di più dalle sue casse, fino ad arrivare tramite la legge fifty – fifty del 23 settembre 1965 a sottrargli il 50% degli introiti, il CONI ottenne una sempre maggiore rilevanza e forza sul piano nazionale e internazionale: il 9 novembre 1949 riuscì ad ottenere l’edizione delle Olimpiadi invernali a Cortina del 1956. Come consacrazione definitiva l’ente avanzò poi la candidatura di Roma per l’edizione dei giochi Olimpici estivi del 1960. Questa clamorosa decisione generò notevoli cambiamenti nei rapporti diplomatici tra politica e sistema governativo sportivo: la DC diede tutto il suo sostegno alla candidatura in quanto l’iter che avrebbe portato Roma ad ospitare un’olimpiade avrebbe non solo favorito un ulteriore sviluppo economico nazionale ma sarebbe anche stato utilizzato come celebrazione dei successi ottenuti dai governi centrali in materia di modernizzazione del paese. Di fronte alla sfida olimpica, più complessa e articolata fu invece la strategia messa in atto dal PCI per indirizzare l’evento a suo favore. In ogni caso quello che si verificò in questi anni segnò marcatamente la nuova modalità di gestione dello Sport. Da questo momento in poi l’apparato sportivo divenne un vero e proprio mondo a sé con cui la politica ci andava a parlare e trattare e non più a indirizzare, inoltre da sistema foraggiato dallo Stato, invertì la tendenza trasformandosi in ente che a sua volta rimpinguava le casse statali. Nell’Italia repubblicana dunque, lo Sport si estende, si svincola e diventa realmente patrimonio di “tutti”.