di Adelmo M. Imperi

LO SPORT NELLA GRANDE GUERRA


La pratica sportiva fu un elemento presente anche nella nuova realtà della guerra totale, assumendo peraltro nuove e diverse funzioni. Se da un lato le discipline sportive continuavano ad agire su un piano prettamente funzionale all’addestramento militare, molti soldati impegnati al fronte videro tale pratica come uno strumento per poter sfuggire, anche se solo per un momento, dalle atrocità della guerra che in prima persona vivevano quotidianamente. Lo sport fu quindi anche strumento di svago nei momenti di riposo concessi nelle retrovie e mezzo per migliorare l’amalgama fra soldati provenienti da diverse città d’Italia, migliorando lo spirito di corpo dei reggimenti. In alcuni casi lo sport svolse la funzione di rendere meno pesante la preclusione dei prigionieri e dei generali. Ad esempio, nel corso della prima guerra mondiale, nell’Impero austro-ungarico e in Germania vi erano campi d’internamento che tenevano conto di logiche di confortevolezza. Il campo di Ellwangen, era anche dotato di attrezzature che permettevano di svolgere attività non solo culturali (sale per rappresentazioni cinematografiche, teatri, ritrovi per ascolto musica, biblioteche), ma anche sportive. Le autorità austriache e tedesche cercavano, infatti, di favorire lo sviluppo di occupazioni che potessero impegnare gli ufficiali prigionieri e distrarli dalla condizione di forzato ozio, così da evitare malcontenti o addirittura rivolte. Per questo erano state predisposte palestre, sale e campi di gioco per tennis, football, tamburello, palla a mano, bocce, biliardo. E anche, dove non era proibita, la scherma. In particolar modo il calcio, essendo uno sport tra i più conosciuti in Europa, fu molto praticato nei campi di prigionia e d’internamento. A conferma della diffusione come linguaggio universale, lo sport assunse - in alcuni casi molto celebrato dalla storiografia - il ruolo di pacificatore tra le parti. Si pensi ad esempio al “Miracolo del 25 dicembre” del 1914, quando fu disputata in trincea una partita di calcio tra l’esercito tedesco e quello inglese. Con l’arrivo al fronte dell’esercito americano, si assisteva inoltre alla diffusione di pratiche sportive completamente, o quasi, sconosciute nel continente europeo. In particolar modo in Italia, grazie ai rapporti con gli alleati americani, si andarono a diffondere tre sport di squadra: il Basket, che fu tra l’altro il vettore di un primo canale di contatto tra culture nazionali diverse a livello internazionale; il Baseball, che si diffuse in Italia e all’interno dell’esercito italiano grazie alla massiccia presenza dell’esercito americano nel fronte italo -austriaco; il Volley, tramite i soldati dello zio Sam che risiedevano presso la base di Porto Corsini (Ravenna). In realtà la visione “pacifista” dello sport venne valorizzata dopo la guerra perché prevaleva durante il conflitto la retorica mobilitante che piegava ogni attività umana alle esigenze belliche. Ciò accadde perché gli obiettivi della stampa furono solo quelli di mettere in luce le virtù dei soldati forgiate attraverso lo sport e di glorificare il valore dello “Sportsman”. Il sentimento pacifico, soprattutto a causa della forte influenza del Futurismo e delle altre avanguardie, non fu mai contemplato. Tra il 1915 e il 1918, la missione principale della stampa sportiva diventò infatti quella di raccontare le avventure di guerra dell’esercito italiano impegnato sui vari fronti. Da strumento di esaltazione dello sport come veicolo di integrazione nazionale attraverso i racconti di atleti e manifestazioni sportive in guerra, divenne strumento di propaganda bellica. Nacquero, o subirono delle modifiche, i periodici di guerra, come ad esempio una nuova creazione di Tullo Morgagni: “Lo sport illustrato e la guerra” che uscì per la prima volta Il 10 giugno 1915 come inserto della “Gazzetta dello sport”, e che altro non era che la versione riadattata di quello fondato il 15 aprile 1913, “Lo sport illustrato”. In questo nuovo inserto, Morgagni valorizzò la tecnica fotografica, utilizzata nella versione precedente per immortalare gli atleti impegnati nei rispettivi eventi sportivi, per ritrarre gli atti di guerra. Tale tecnica divenne un supporto visivo dal notevole impatto propagandistico, di cui si avvalse massicciamente anche il Comando Supremo che, dal 1916, fece realizzare oltre 150.000 lastre e pellicole su spaccati riguardanti il fronte, le retrovie e la mobilitazione civile. Il 15 dicembre 1916 Morgagni, visto che il periodico ebbe successo, volle ampliare i temi del periodico. La sua idea era quella di occuparsi, oltre all’evento bellico in sé, anche di argomenti collegati all’idea di mobilitazione totale, come ad esempio l’organizzazione industriale e la tecnologia. Per fare ciò cambiò ancora una volta la denominazione del periodico che passò da “Lo sport illustrato e la guerra” a “Il secolo illustrato: rivista quindicinale della forza, dell’audacia e dell’energia umana”. In seguito, nacque un altro periodico fondato da Morgagni in collaborazione con il giornalista e scrittore Vittorio Varale: “Almanacco dello Sport. La vita sportiva dell’Italia e dell’estero in tutte le sue manifestazioni. Lo sport e la guerra”, edito nel 1917 e che sostanzialmente svolse le medesime funzioni degli altri periodici. L’attenzione dei giornali sportivi oscillò dal fronte alle manifestazioni disputate in occasione delle varie competizioni ufficiali a quelle giocate nei luoghi prossimi delle trincee, ai match disputati tra le squadre professionistiche e le rappresentative militari, quasi a voler raccontare una sovrapposizione tra fronte interno e fronte di guerra anche sul piano sportivo. Uno degli elementi che più caratterizzavano la completa sovrapposizione tra lo sport e la guerra fu la facilità con la quale la retorica del “campione” venne utilizzata per celebrare l’eroe come si vede in questo estratto del 1917 di Almanacco dello Sport:

“Oggi gli atleti sono utili, sommariamente utili, domani saranno indispensabili. È grande il cammino delle sorti d’Italia e pel dopo guerra si dovrà fare appello alla balda gioventù per riattivare ciò che la guerra aveva distrutto”

Il processo di bellicizzazione della narrazione sportiva, pertanto, era stato finalmente portato a compimento e la Gazzetta dello Sport era la testata che più si distingueva in tal senso. Essa s’impegnò a fondo nel definire i caratteri dell’uomo nuovo, sostenendo con imponente sforzo di moralizzazione le gesta delle truppe facendo perno sulle virtù del “campione”; modificò la rubrica “Lettere dal campo” in “Lettere di sportsman soldati” con lo scopo di raccogliere le voci degli sportivi protagonisti compiutamente divenuti guerrieri, impegnati sui fronti italiani. Lo stile delle lettere consisteva in una fusione tra lo sport e la guerra: era infatti possibile trovare affermazioni come:

“Dallo sport alla guerra. Il primo ci faceva grandi per una ambizione, la seconda ci fa più grandi perché si compie il più sacro e santo dovere che ogni cittadino italiano ha: quello di combattere il nemico comune.

Il giornale introdusse anche un settore riservato ai lutti e agli atti eroici di cui si rendevano protagonisti gli “Sportsman” intitolato “Sul campo dell’onore”, inaugurando la stagione dei “martiri”, presentati come testimoni e precursori della fede nazionale. Parallelamente, il giornale milanese s’impegnò a criticare gli”imboscati” ossia tutti coloro che non partecipavano alla guerra per finti motivi di inidoneità fisica, perché responsabili dell’indebolimento della “sacra unione degli italiani”.

Con la disfatta di Caporetto si inasprì il richiamo allo sport come modello d’ardimento e di supremazia militare. In particolare il 29 ottobre 1917, a seguito della catastrofica sconfitta, la Rosea pubblicò un invito a resistere e ad incrementare la preparazione fisica dei militari attraverso lo sport:

“Gli eserciti forti sono formati da soldati che non temono i disagi, le fatiche i pericoli: l’educazione morale e fisica dei giovani sia il pensiero dominante dei governanti, dei capi, di quanti hanno a cuore la salvezza e l’onore della Patria che sono unicamente affidati alla resistenza degli eserciti. Insegnano le nazioni dove fioriva lo sport nell’antecedenza della guerra: provvediamo ad esercitare i nostri soldati nei giuochi e nelle gare sportive, ad imitazione delle truppe speciali che da tempo allenate alla scuola dello sport e del coraggio si sono battute leoninamente contro il soverchiante nemico”

Poi ricominciarono a essere organizzati quegli eventi sportivi nazionali finalizzati a risollevare il morale anche nel così detto fronte interno. Il giornale lanciò nuove iniziative come il giro podistico della città ma l’evento fu a rischio poiché le autorità milanesi ne minacciarono l’annullamento. La Gazzetta rispose veementemente a questa ipotesi, finché il 10 dicembre 1917, il divieto di svolgere il giro fu revocato e il potere del giornale si amplificò ulteriormente. Quella decisione confermava la trasformazione dello sport da momento di svago e passatempo in strumento funzionale all’elevazione morale della Nazione. Così, nel giro di poco da quella vittoria del giornale milanese, le varie caserme iniziarono a promuovere svariate corse campestri riservate ai militari. La Gazzetta infine aprì una pubblica sottoscrizione, finalizzando un’ipotesi del generale Luigi Capello e comandante della seconda armata, chiamato per dare una sterzata decisiva alla statica “guerra di posizione” il quale auspicava l’incremento dell’allenamento sportivo nel programma di addestramento militare. L’iniziativa fu un successo: fu raccolta, nel giro di poco tempo, una considerevole quantità di fondi che fece consolidare ancora di più all’interno delle forze armate l’importanza dell’organizzazione sportiva e il suo collegamento con la formazione dei nuovi reparti d’assalto. La fusione tra sport e guerra che si era venuta a creare era ormai radicale e destinata a non scindersi più per molti e molti anni a venire.