di Adelmo M. Imperi

LO SPORT "INTERVENTISTA"


Allo scoppio della grande guerra, il 28 luglio 1914, l’Italia era già legata con Germania e Austria–Ungheria dal patto militare della triplice alleanza. Tuttavia il patto, anche se di natura difensiva, non prevedeva necessariamente un intervento al fianco degli alleati. Così, con l’espediente di non esser stato consultato da Vienna quando l’Austria lanciò l’ultimatum di guerra alla Serbia, il governo italiano decise di prendere le distanze dal conflitto e dichiararsi neutrale. La scelta di non intervento provocò progressivamente all’interno della nazione una spaccatura politica e ideologica. Lo schieramento neutralista escludeva e rifiutava l’idea di far partecipare l’Italia alla guerra, mentre quello interventista chiedeva a gran voce la partecipazione alle operazioni belliche da parte dell’Italia.

Nonostante i neutralisti fossero la maggioranza, non riuscirono a compattarsi e a costituire un’unica forza, poiché le motivazioni che li spingevano a questa scelta erano diverse e, talvolta, contrastanti.

Anche gli interventisti erano composti da forze politiche tra loro disomogenee; tuttavia, queste si impegnarono a promuovere la diffusione di un messaggio patriottico comune, chiaro e comprensibile. Questo tipo di contributo alla patria venne visto da molti intellettuali come un’esperienza straordinaria, capace di rendere alla società un servizio fondamentale e insostituibile di diffusione e rafforzamento dell’identità nazionale. In altre parole, in un periodo in cui l’identità nazionale si stava ancora costruendo e che quindi era ancora attraversata da molte scuole di pensiero, gli interventisti - meglio dei neutralisti - riuscirono a formare, unificare e mutare i variopinti sentimenti popolari. La propaganda interventista era basata su sentimenti irredentisti anti–austriaci, riguardanti la questione di Trento e Trieste, o imperialisti, portando avanti l’idea che l’egemonia tedesca avrebbe frustrato le aspirazioni nazionali italiane. Lo zoccolo duro dello schieramento era composto dai nazionalisti che da subito fecero un’aggressiva e offensiva campagna anti-neutralista, arrivando a proporre una retorica ostile agli agi della vita borghese, incarnata dalla politica liberale.

Oltre ai nazionalisti vi era una componente democratica neo-risorgimentale e irredentista che aveva come riferimento Cesare Battisti. Tra i democratici, si aggiunse il meridionalista Gaetano Salvemini che interpretò il primo conflitto mondiale come contrapposizione delle potenze liberali e democratiche al tentativo egemonico degli autocratici Imperi centrali. A questo schieramento si aggiunsero inoltre, l’interventista riformista Leonida Bissolati e i repubblicani. Vi era inoltre l’interventismo rivoluzionario che comprendeva il sindacalismo rivoluzionario. La componente principale erano i fuoriusciti dell’ USI (Unione Sindacale Italiana) capeggiati da Filippo Corridoni. A far pendere l’ago della bilancia a favore dell’intervento, furono però le avanguardie artistiche, fra le quali spiccava in maniera dirompente il movimento futurista capeggiato da Filippo Tommaso Marinetti che, in procinto di avventurarsi nella “guerra – festa”, da sempre aveva individuato in essa una soluzione ai problemi sociali: “Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”.

L’esposizione a favore della guerra da parte del Futurismo, spinse anche lo Sport a lasciarsi trasportare da queste pulsioni guerreggianti e, alla campagna a favore dell’intervento, quindi, oltre ai giornali che informavano sui fatti quotidiani classici della società come il “Corriere della Sera”, sulla scena si inserì prepotentemente anche la “Gazzetta dello Sport” evidente portavoce del movimento sportivo.

Che la Rosea si schierasse politicamente - sorvolando sul fatto che la questione non era di carattere sportivo - e che lo facesse in favore dell’interventismo, non c’è da stupirsi. Dall’età di 16 anni, il direttore Tullo Morgagni era appassionato di politica, e in alcuni casi sembrò addirittura soffrire il suo essere “confinato” in una redazione sportiva. Come sottolineò Orazio Marcheselli, non poté mai occuparsi esplicitamente delle questioni politiche, ma dovette limitarsi a dei piccoli accenni o a dei velati riferimenti. Ma come abbiamo visto, Morgagni fu presto consapevole che lo sport poteva diventare potente fattore di integrazione nazionale. Negli anni della spedizione libica il suo giornale aveva quindi seguito e indirettamente sostenuto l’impresa coloniale. Con la propaganda per l’intervento, la vocazione nazionalista del giornale si accentuò decisamente valorizzando le gesta di aviatori e “campioni” militari. Si pensi ad esempio all’appello che il giornale lanciò in occasione della chiusura dell’anno solare il 31 dicembre 1914:

“Sportsman d’Italia! Non solo ai valorosi belgi fu distrutta la Patria, ma anche ai fratelli delle terre irredente che disertarono l’altrui bandiera in cerca della Patria, dobbiamo offrire la nostra solidarietà, il nostro appoggio […]”

Il 4 gennaio 1915 sfruttando la cronaca della partita amichevole di calcio tra l’équipe franco – belga e la nazionale italiana la Gazzetta scrisse:

“La squadra franco – belga […] ha sentito dalla voce del popolo di Milano e di Torino e di quella di un illustre profugo trentino (Cesare Battisti) quale magnifica unità di aspirazioni nazionali esista oggi nelle anime dei popoli latini, aspirazioni sentite ed espresse loro colla dignità del gesto che la squadra ha compiuto scendendo in campo a giocare due matches per l’umanità di coloro che hanno perduto temporaneamente la patria, per l’umanità di coloro tra noi che la patria devono conquistare”

In quest’articolo è presente un aspetto utilizzato frequentemente in quel periodo dall’ala interventista per sottolineare l’unione, quasi mistica, tra il popolo latino e la sua nazione. L’esaltazione della latinità, il richiamo alle forze e alle virtù guerriere della sua tradizione e alla sua superiorità spirituale, accomunavano, seppure con toni diversi, settori politici anche lontani tra loro. La difesa della “latinità” dalla furia dominatrice dei tedeschi fu uno degli argomenti sempre presenti negli scritti, nei comizi e negli articoli, nella propaganda degli anni di guerra. In questo caso, la partita amichevole era solamente un pretesto per avviare una manifestazione di carattere politico in favore dell’intervento militare al fianco della Triplice Intesa, coinvolgendo a vario titolo i propri giornalisti come Franco Scarioni. Ancora più esplicita in favore della guerra, la “Rosea” lo fu il 22 gennaio quando fu sottolineata la missione della nazione sportivamente preparata:

“Occorre che tutti si scuotano e che l’esercito sportivo sappia oggi più che mai qual è il suo posto, quale il suo dovere”

In seguito argomentò continuamente l’utilità bellica della preparazione sportiva. In una cronaca del 22 gennaio 1915,“L’utilità del nuoto invernale dimostrata da un episodio di guerra”, si dava la parola al francese August Wein, un iscritto alla “Rari Nantes Partenope”, il quale rievocava una lunga notte invernale trascorsa all’adiaccio, in un acquitrino, per sfuggire alle mitragliatrici tedesche. Wein ammetteva di dover la sua sopravvivenza alle nuotate in pieno inverno, svolte da civile, nel golfo di Napoli.

Il giornale introdusse poi una rubrica chiamata “Lettere del campo”, ennesimo tentativo di evidenziare il binomio sport e guerra. Infatti, la parola “campo”, che nell’ambito di un giornale sportivo rimanda al “campo sportivo”, fu utilizzata per parlare della guerra e, in particolar modo, del “campo di battaglia”. Lo scopo di questa rubrica, consisteva nel pubblicare lettere dei volontari garibaldini impegnati al fronte francese delle argonne. L’azione volontaristica dei garibaldini in Francia era la prefigurazione dell’intervento militare al fianco dell’Intesa. Nelle lettere pubblicate si sottolineava la formazione per la guerra come evento attivo e dinamico.

[…] “Il nostro riposo durerà ancora qualche giorno. Poi ci manderanno al fuoco. Qui ci annoiamo a morte”

L’attenzione del giornale si concentrava attivamente sulla preparazione sportiva finalizzata alla preparazione militare. Una peculiare valenza politica venne data alle 7 marce “di allenamento alla guerra” che la “Rosea” fece disputare tra la metà di febbraio e la metà di aprile del 1915. Esse avevano lo scopo di preparare il soldato ma, se a questa non si fosse partecipato, sarebbero state comunque utili perché avrebbero comunque permesso un rafforzamento ed un miglioramento delle funzioni dell’organismo nazionale. L’ultima marcia fu fatta oggetto, l’11 aprile 1915, di una manifestazione neutralista. Al grido, “Viva la neutralità”, la “Gazzetta dello sport” rispose mantenendo apparentemente la distinzione fra attività civile e militare ma imponendo, in realtà il pieno appoggio alla guerra:

“Se i malintenzionati che ieri provocarono simile vergognosa aggressione, fossero stati in grado di valutare la portata di certe utili iniziative non sarebbero così trivialmente caduti nel banale errore di confondere la preparazione civile, con la richiesta ad alta voce (e nobilissima del resto) della guerra salvatrice e benefattrice del paese”

Quando ormai l’Italia si stava avviando sempre più alla battaglia, la “Gazzetta dello sport” fu in prima linea a sostenere il maggio “radioso”. Dal 17 maggio 1915, iniziò a pubblicare le liste degli sportivi richiamati nei ruoli dell’esercito e dal 21 maggio fu pressoché integralmente consacrata alla prossima entrata. Come suggerisce Giuntini, gli articolisti parevano davvero contare le ore e i minuti che separavano dall’atteso annuncio. Così, lunedì 24 maggio, giorno della dichiarazione di guerra, la “Gazzetta dello Sport” apriva l’edizione con:“Per l’Italia contro l’Austria, hip hip hip hurrà” E sotto il titolo “Il dovere” esortava:

“Fratelli che avete conosciuto, praticato, amato lo sport, prendete le armi per lo sport più antico, più forte e più vero: la guerra; e siate nella sterminata falange i manipoli dell’esempio.”

L’Italia era in guerra e la “rosea” era pronta a supportare i suoi “Sportsman” – soldati.