di Adelmo Maria Imperi

L’Italia e la “massificazione” dello Sport: storia di una passione

Vi siete mai chiesti come sia stato possibile che oggi, uomini comuni, senza alcun tipo di tornaconto personale o inclinazione fisica per lo sport, si riversano con fervente passione negli impianti sportivi per tifare una squadra di calcio o di pallavolo? Oppure perché molti di questi vanno in strada incuranti delle condizioni climatiche, per parteggiare e, in maniera quasi bizzarra, rincorrere i ciclisti che arrancano nelle salite nel tentativo di spingerli attraverso il sostegno e l’incitazione?

Quale è stato quel processo storico e sociale che ha permesso tutto questo?

Per affrontare tale argomento non si può non iniziare da una citazione di Benedetto Croce che parlando di sport agli inizi del ‘900 disse: (Lo sport) “era come un gran conversare che si era acceso da un capo all’altro dell’Italia”. Con lo sviluppo della società di massa, infatti, iniziò a diventare un fenomeno sociale a diffusione popolare anche questa disciplina. In quel periodo l’unica pratica che aveva un po’ di successo era l’atletica, essendo infatti gli anni della rinascita delle manifestazioni olimpiche e il podismo era il più degno rappresentante. Altre discipline sportive come il ciclismo, il calcio ed il nuoto erano invece ancora in uno stadio embrionale e raccoglievano pochi spettatori e pochi praticanti. Tuttavia, grazie ai costi ridotti di partecipazione, potevano essere potenzialmente accessibili a tutta la popolazione. Il ciclismo forse, tra questi, era il più costoso poiché bisognava essere in possesso di una bicicletta. Ma la bicicletta in quel periodo cominciò a diventare un mezzo di trasporto tra i più usati specialmente nei centri urbani. Non c’era una federazione ciclistica ma grazie all’organizzazione di varie competizioni sportive, si ebbe un incremento della passione e conseguentemente della partecipazione a questa disciplina, parallelamente un miglioramento della qualità tecnica.

Anche la diffusione popolare del calcio era ancora bassa. Nonostante fossero trascorsi diversi anni da quando questa disciplina veniva praticata, il calcio in Italia ebbe la sua consacrazione come sport di massa solo nel 1910 quando scese in campo per la prima volta la Nazionale che attirò l’attenzione e la curiosità della maggior parte della popolazione. La questione di rendere equo il campionato, sia per squadre economicamente ricche che per quelle povere, rimase aperta a causa di una federazione caotica ancora arretrata rispetto alle altre federazioni europee. Il nuoto era una pratica alla portata di tutti: selezionare i luoghi dove poterlo praticare non era un problema. Infatti nella penisola Italiana, i mari o altri bacini idrici per cimentarsi nell’antica arte del nuoto non mancavano. L’unica accortezza in questo caso era quella del clima, in quanto, gli eventi dovevano svolgersi necessariamente in periodi estivi in modo tale da non avere acque troppo agitate e temperature climatiche troppo basse che avrebbero reso difficoltoso lo svolgimento delle gare. Tuttavia, nonostante la semplicità d’accesso, anche il nuoto era ancora poco organizzato e fin troppo pochi erano gli italiani che sapevano nuotare. In tale disciplina il problema di fondo era la scarsa qualità tecnica. Infatti, a livello sportivo professionistico, non c’erano molti praticanti e quei pochi che c’erano, rispetto ai colleghi di altre nazionalità, erano poco specializzati e non adeguatamente allenati. Di conseguenza, i praticanti italiani erano relativamente pochi ed erano anche poco competitivi nelle manifestazioni internazionali. Su tale argomento intervenne il giornalista della “Gazzetta dello sport” e del periodico “Lo sport illustrato” Arturo Balestrieri: “Per quale ragione gli italiani, che pure fisicamente nulla hanno da invidiare agli atleti delle altre regioni, non riescono a raggiungere in materia di scienza notatoria quella perfezione che contraddistingue a gruppi così numerosi e frequenti gli inglesi, i tedeschi, gli americani, i belgi, gli austriaci e via dicendo? La risposta è cruda, brutale forse: perché gli italiani non sanno nuotare”.

In virtù di quel che è stato appena detto, ci si rende conto che in quel periodo uno dei problemi in comune era la carenza di organizzazione di queste pratiche anche se non richiedevano costi elevati ed erano facilmente accessibili alla popolazione.

Fu in questo contesto che a svolgere un lavoro determinante fu la stampa sportiva (in particolare la Gazzetta dello Sport) che iniziò ad organizzare a livello popolare e soprattutto Nazionale eventi atletici popolari aperti più o meno a tutti. Come detto, i costi di partecipazione erano ridotti e il potenziale che questi possedevano era molto esteso. Fu così, dopo i primi esperimenti a scala ridotta che l’idea di organizzare eventi in maniera sempre più diffusa ed estesa prese piede e si concretizzò. Impossibile, in questo senso, non citare la corsa ciclistica Milano - Sanremo organizzata per la prima volta nel 1907 e che come idea di base aveva quella di unificare due aree geografiche sotto un’unica manifestazione. Visto il successo ottenuto da tale evento, ancora più rilevante fu la realizzazione del Giro d’Italia due anni dopo e che avrebbe sancito da lì a poco la passione nazionale per quella disciplina (E’ proprio per questo motivo che la famosa maglia del vincitore di tale competizione è rosa, lo stesso colore delle pagine del giornale milanese).

Allo stesso tempo, per quanto concerne il nuoto, l’organizzazione delle Popolari di Nuoto che era una competizione in cui tutti potevano partecipare, sempre per mano di altri scrittori di sport e della GDS, consentì una crescita esponenziale della passione verso questo sport di cui precedentemente - per la scarsità tecnica prima citata - si era estremamente spaventati. Anche il Calcio, che in un certo senso fa storia a sé e sarà così per sempre, in quella fase grazie ai molteplici tornei amatoriali e militari che vennero organizzati, iniziò ad essere uno sport amato in maniera capillare da tutti in modo sempre più viscerale. Sarà poi il campionato a girone unico prima, la retorica politica e militare costruita attorno ad esso a renderlo ancor più legato indissolubilmente alla cultura italiana e popolare e tramutarlo in quello che noi oggi vediamo… ma questa è un’altra storia.

Ciò che in questa sede è quindi interessante mettere in luce è che quello a cui noi oggi assistiamo quando ammiriamo un evento sportivo non ha sempre avuto queste caratteristiche e questa passione, e non è stato di certo automatico il suo sviluppo. Molte vicende sono dovute accadere prima che le persone smettessero di scappare alla vista di una bicicletta perché considerato un aggeggio diabolico; prima di scoprire che l’acqua poteva essere percorsa anche divertendosi; e prima che il Calcio smettesse di essere solo di proprietà di alcuni rudi scaricatori di porto inglesi che durante la pausa giocavano nei porti genovesi. L’organizzazione degli eventi sportivi è stato un gran colpo di genio che ha dato il via a tutta la macchina organizzativa sportiva, dando l’innesco ad una creatura ormai diventata gigante e indistruttibile. Diversi però sono stati i meccanismi e le circostanze che hanno concesso lo sviluppo di questo fantastico fenomeno sociale che è lo sport a tiratura popolare: dall’avvento della società di massa alla diffusione della stampa e della tecnologia, dalla nascita del mito della religione dello sport alla retorica dell’uomo sportivo.