di Adelmo M. Imperi

L’aviazione tra disciplina sportiva e bellica


Una delle figure più rappresentative del mito dell’”Uomo Nuovo”, che agli albori del ‘900 era fortemente in ascesa e destinato ad esercitare una profonda influenza nella demagogia nazionalista del tempo, era senza dubbio il pilota/aviatore. Va infatti precisato che l’aeronautica militare era di giovane costituzione, ma subito manifestò grande interesse nelle masse ed anche un rilevante potenziale di crescita. In particolare, essa nacque ufficialmente in Italia il 6 novembre 1884, e i primi approcci che la popolazione ebbe con l’aviazione risalgono a pochi anni di distanza dalla nascita del Corpo. Già tra il 1907 e il 1908 (un lasso di tempo brevissimo) a Torino si riscontrano le prime promozioni di voli di un aeroplano, grazie al neo istituito comitato “Pro–Torino” presieduto dall’onorevole ingegner Carlo Montù. Nel febbraio del 1909 fu fondato il “Club aviatori” che, con una serie di iniziative e progetti, riuscì a creare una zona di addestramento a Centocelle dotato di un velivolo e di un istruttore. La disciplina ormai si stava diffondendo in maniera capillare negli strati sociali più alti e la “Gazzetta dello Sport”, che aveva fiutato la dirompente opportunità in ambito sportivo e popolare, qualche mese dopo, per agevolare l’espansione dell’aviazione, organizzò la prima esposizione d’aviazione italiana tenutasi il 15 novembre 1909 a Milano. Da questo momento in poi, per la disciplina, che fino ad allora era prevalentemente amatoriale, si aprì la stagione della disciplina sportivo-professionistica, diventando simbolo di modernità, innovazione e del nuovo splendore Nazionale.

L’allora direttore della Gazzetta dello Sport, Tullo Morgagni, fu fra i primi che auspicò e per cui non cessò di lottare fino all’ultimo istante perché si costituisse un’armata aerea partendo dalla letteratura sportiva. Egli infatti, sponsorizzando la funzione sportiva e militare dell’aeronautica attraverso le colonne della “Gazzetta dello sport”, ha validamente e profondamente contribuito allo sviluppo dell’aviazione italiana e del pilota\soldato. In questo senso, la fase cruciale si verificò quando da semplice sport, l’aviazione, fu proiettata alle missioni di guerra. In quel frangente, infatti, la “Rosea” iniziò così la sua campagna di esaltazione del valore dei piloti militari fino alla costruzione di un’aurea di divismo intorno ad essi. Fu questa la campagna che consentì al popolo di conoscere le gesta degli eroi dell’aria; e fu questa la campagna che ancora oggi appare a noi come una base solidissima per la storia dell’aviazione militare. Il lavoro di valorizzazione dell’aviazione del direttore fu senza alcun dubbio superbo: in molti, nel giro di pochissimi mesi, iniziarono ad amare quella ancor poco conosciuta tecnologia aerea e come gli altri sport più vicini alle disponibilità delle masse come l’atletica, il calcio, il ciclismo, anche questa subì un processo di massificazione. Tale processo, considerando la particolarità della disciplina, oltre ai costi e la riservatezza della pratica ad una nicchia di praticanti, fu ancora più degno di nota rispetto allo stesso lavoro di massificazione messo in atto per gli altri sport che invece erano già intrisi di una profonda vocazione di massa per la loro semplicità di pratica e per i costi bassissimi che prevedevano. Se infatti con questi sport era sufficiente innescare le passioni e creare un sentimento di devozione nei confronti degli atleti, con l’aviazione era necessario avvicinare la massa alla disciplina, mostrandola come già vicina, raggiungibile e praticabile, pur mantenendo l’esaltazione di chi la praticava. Quindi, in entrambi i casi venne mantenuta mitologica la figura dell’atleta, ma nel caso degli sport nati direttamente in ambiti popolari fu costruita una suggestione che gli attribuiva un maggior fascin, quasi trascendentale; mentre, nel caso dell’aviazione il processo fu inverso, ossia, rendere situazioni che sarebbero state di nicchia e altamente tecniche, più vicine ai gusti popolari semplificandone i processi e le gesta.

Quello dell’Aviazione quindi fu la costruzione di un mito nuovo, che partiva dall’alta borghesia per poi diffondersi negli strati più popolari della Nazione. Quello che prevalse nel corso degli anni, fu proprio la compenetrazione tra sport, guerra e tecnologia - quest’ultima ben si inseriva nel novero delle necessità belliche - che tale disciplina esprimeva nel quadro dell’elevazione fisica e morale della Nazione. La prova che forse più di tutte rappresenta questo momento di fusione sportivo-bellica, noi l’abbiamo in un articolo de la “Gazzetta dello Sport” apparso senza firma d’autore ma che molto sembra ricordare lo stile di Morgagni del 13 marzo 1912:

“Si pretende che l’impassibilità araba non sia scossa in presenza dei prodigi che gli ultimi portati dalla scienza – applicata in occasione della guerra – hanno mostrato per la prima volta nel cielo tripolino. Quelle popolazioni non risentono il più lieve scuotimento o brivido in cospetto delle ultime conquiste di una civiltà, che anche ora deve qualcosa alla attività scientifica … degli arabi di dieci secoli fa. Ma l’incanto sembra rotto finalmente e l’anima annichilita da un abbrutimento si ritaglierà lentamente non ci toccherà aspettare che le dure refrattarie cervici siano aperte dai frantumi dei proietti esplosivi scendenti dall’atto di meravigliosi ordegni scientifici che nostra capacità guerresca impiega laggiù per avere ragione di una temporanea irriducibilità di sentimento. Un velivolo italiano passa superbamente al largo, e l’impassibile arabo lo guarda con qualche sorridente curiosità. È uno spettacolo strano, una prima scintilla un buon sintomo un sicuro indizio del prossimo avvenire augurato.”

Come si può facilmente intuire, in questo contesto fu magistralmente descritto il mito del mondo nuovo e della nuova e avanguardista Italia, che per diversi decenni fu destinata a dominare la scena sportiva, politica e, conseguentemente, guerreggiante.