Di Adelmo M. Imperi

ITALIA ’90: CALCIO ED EDILIZIA

Dopo oltre cinquant’anni i mondiali tornarono in Italia e molti - calciatori compresi - si lasciarono trasportare da un profondo entusiasmo, iniziando a pensare che il fattore campo, in quanto Paese ospitante, avrebbe fatto preludere a un successo azzurro. Ancor più contenti dei giocatori e dei tifosi per l’organizzazione dei mondiali in Italia però, lo furono i politici e tutti gli attori della classe dirigente dell’epoca. Ma andiamo con ordine: nel 1984 la Fifa assegnò l’organizzazione dei Mondiali all’Italia: il presidente del Comitato Organizzatore di Italia 90 era Luca Cordero di Montezemolo e il presidente del CONI Franco Carraro. Ai due spettava un compito arduo, quello di rinnovare e di realizzare le strutture ospitanti le 52 partite da giocare nell’arco di un mese e in dodici diverse città. A quella notizia, oltre all’entusiasmo degli amatori, c’era quello ancor più influente di chi vide in quell’evento un grande affare.

Si può dire infatti, che proprio a partire da Italia ‘90 molti addetti ai lavori iniziarono a sperimentare quel modo di “presentare” il calcio che in futuro farà le fortune di tanti: diritti tv, le prime immagini con nuovi sistemi ad alta definizione, vaste programmazioni, infinite campagne pubblicitarie, merchandising. Alla vigilia l’occasione un’importante vetrina nella quale esporre i progressi in campo organizzativo, tecnologico, turistico e manageriale, tratto tipico della rampante stagione socialista. Mossi dall’entusiasmo e in maniera latente da altri interessi, furono stanziati per l’occasione 3.500 miliardi di lire che, in sede di consuntivo, divennero 7.300.

Alla radice delle spese dirette alle più disparate costruzioni e ristrutturazioni non esiste un disegno edilizio. I soldi mondiali finanziano la strada statale di Ischia, la circonvallazione di Aosta, la tangenziale di Catania, lo stadio di Padova, tutte città che non debbono ospitare nessuna partita. Per eliminare qualsiasi tipo di vincolo e controllo, il governo adottò un decreto con le procedure d’urgenza, quelle che dovrebbero essere impiegate solo per le calamità naturali. Per portare a termine questo progetto, un totale di circa 48 miliardi di lire vennero stanziati con la legge n°65 del 1987 per le strutture di Bari, Torino, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Udine e Roma. Impressionante fu la lievitazione dei costi, cresciuti vertiginosamente e dovuti a trattative ed appalti ancora oggi avvolti nel mistero; nonostante vi fossero le tempistiche per organizzare in maniera cristallina tutte le gare e l’86% dei lavori fu affidato grazie a trattative private. Le spese crebbero del 90% per quasi tutte le strutture tranne per l’Olimpico di Roma, dove vi fu una crescita esponenziale di circa il 180%. Negli anni successivi i risultati di questi ingenti investimenti si rivelarono inefficienti e sprecati. Alcune strutture divennero delle vere e proprie cattedrali nel deserto, altre furono degli esperimenti estetici che non risposero ad alcuna reale esigenza, altre ancora vennero semplicemente abbandonate a sé stesse nella più completa incuria. Lo stadio Delle Alpi di Torino, ad esempio, ospitò cinque partite in quel mondiale. La sua breve storia iniziò negli anni ‘90 e terminò con la chiusura nel 2006 e la demolizione tre anni dopo. Principale problema di quest’impianto fu la scarsa visibilità, dovuta ad un’eccessiva distanza tra gli spalti ed il terreno di gioco, oltre all’impianto d’irrigazione che causò diversi problemi al manto erboso, danneggiandolo in diverse occasioni. Il San Nicola di Bari venne invece realizzato dal famosissimo Renzo Piano, che elevò nell’Italia sportiva l’estetica futurista ed innovativa, battezzando il suo gioiello l’astronave per via della caratteristica forma. Tuttavia già nei primi anni i costi di manutenzione furono elevatissimi, a causa della copertura in teflon cadente letteralmente “a pezzi”.

La visibilità, oltretutto, è uno dei problemi ricorrenti quando si tratta di massicci impianti dotati di pista d’atletica. Lo stesso San Paolo di Napoli accusa un problema strutturale riguardante il terzo anello, realizzato proprio in occasione dei mondiali, e ad oggi chiuso. Il motivo è senz’altro unico nel suo genere: sembrerebbe infatti dovuto alla propagazione delle onde sismiche causata dalla fatiscente struttura in ferro. L’odierna inadeguatezza di molti impianti sportivi nostrani mette in evidenza la discutibile gestione degli investimenti. Sul bilancio di previsione di Palazzo Chigi degli ultimi anni vi è una voce che fa riferimento ai mutui accesi con la legge del 1987 sulla costruzione degli stadi ospitanti le gare del Mondiale. Nel 2011 si parlava di 55 milioni, che diventano 61 nel 2014.

Fatto sta che a confermare il trend negativo degli stadi vi furono anche le altre opere pubbliche. Emblematico, in questo senso, fu a Roma la stazione Farneto, in funzione per sole tre settimane, chiusa ufficialmente ad ottobre 1990 e occupata negli ultimi anni da Casapound. Il Terminal Ostiense, invece, aveva l’obiettivo di collegare la città all’aeroporto di Fiumicino; anch’esso rimasto in funzione poche settimane, venne definitivamente chiuso tre anni dopo. Oltre a ciò, va ricordato anche il caso dell’Albergo Italia 90 a Ponte Lambro, i tre ponti di Fuorigrotta a Napoli o i maxi-parcheggi auto a Palermo, che vennero inaugurati un anno dopo la fine del mondiale.

Ad aggravare la situazione, inoltre, contribuì anche la questione sicurezza, durante i frenetici giorni di costruzione vennero registrate dodici vittime nei cantieri degli stadi e le altre dodici nelle opere esterne, inoltre si conteggiarono 678 feriti. L’episodio più cruento si verificò a Palermo, nell’attuale Renzo Barbera dove la caduta di una tettoia causò la morte di ben cinque operai. Diverse furono le indagini aperte dopo il mondiale, ma quasi tutte inconcludenti. Vennero avviate due inchieste parlamentari: la prima nel maggio 1992 e la seconda nel maggio 1999, entrambe conclusesi con le rispettive archiviazioni dalle accuse di corruzione e di abuso d’ufficio.

I fatti furono evidenti ma durante la realizzazione delle opere l’iter procedurale di assegnazione degli appalti fu estremamente denso di zone d’ombra da non riuscire facilmente a capire quale fosse la reale situazione. In contrasto con le direttive CEE, infatti, gli appalti vennero aggiudicati a mezzo della trattativa privata, anche se il valore supera il miliardo e mezzo. Addirittura alcuni lavori dal valore di 500 miliardi alla data d’inizio dei mondiali non risultarono nemmeno cominciati. Altri resteranno interrotti e inutilizzati, come la linea tranviaria rapida a Napoli. 10 miliardi e mezzo costò uno svincolo della sua tangenziale, a fronte dei 7,5 preventivati; addirittura 54 miliardi fu invece il costo per i parcheggi a Bisceglie e a San Carlo. Paradossale, invece, fu il caso dell’aeroporto al capoluogo pugliese che costò solo 6 miliardi. Tuttavia, quando dovette atterrare la squadra del Camerun, questa venne dirottata su un altro scalo, poiché non erano ultimati i servizi antincendio e le attrezzature radar e, del resto, mancavano anche le scalette per far scendere i passeggeri.

A metà giugno la contesa ha inizio, sotto gli auspici della mascotte tricolore Ciao. In campo, dopo una fase finale esaltante, con la sconfitta ai calci di rigore a Napoli contro l’Argentina, il sogno calcistico azzurro tramontò con un deludente terzo posto; fuori, invece, viene meno la speranza nella trasparenza sulla gestione dei grandi eventi pubblici. D’altronde di ricordi del mondiale ce ne sono anche di più ingombranti. Per esempio la stazione romana di Vigna Clara, 80 miliardi di spesa, che avrebbe dovuto decongestionare il traffico nella parte nord della capitale e che chiude invece i battenti il giorno dopo la fine della manifestazione. Quella di Italia 90, quindi, non rappresentò esclusivamente un’estate magica e ricca di aspettative, ma fu anche una delle ultime grandi speculazioni economiche prima dello scandalo Tangentopoli che segnò definitivamente la fine della Prima Repubblica e di molti politici e imprenditori che per anni avevano dominato la scena nazionale e che avevano contribuito a scrivere una delle pagine più nere dell’Italia repubblicana.