di Adelmo M. Imperi

Il PCI e la nuova idea di sport nell’Italia repubblicana


Com’è noto, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, tra URSS e Occidente si accentuò la tensione fino a quella che è definita come “guerra fredda”. A seguito della prima conferenza ufficiale del Cominform nel 1948, dove i vari esponenti dei rispettivi partiti comunisti si riunirono per accordarsi - sotto il controllo e direzione dell’URSS - sulla strategia politica da adottare, il Partito Comunista Italiano (PCI) diede priorità in politica interna al rilancio della mobilitazione di massa e al rigido allineamento in politica estera verso l’URSS. Quello che si presentò a seguito del Cominform fu dunque un partito totalmente rinnovato: a differenza di quello nato nel gennaio del 1921 di carattere rivoluzionario e che aveva combattuto clandestinamente durante la dittatura, questo era diventato - sotto la guida di Togliatti - un partito aperto a tutti, indipendentemente da fede religiosa, convinzioni filosofiche e razza mantenendo comunque il marxismo e il leninismo come ideologia. Il progetto di Togliatti era di costruire un partito che raccogliesse il maggior numero di iscritti e che svolgesse la sua azione politica nel contesto democratico, accettando il libero gioco delle altre forze politiche al fine di trasformare lentamente e gradualmente il paese in una società socialista. In altre parole, l’obiettivo era quello di controllare ed egemonizzare i vari ambiti culturali della società al fine di provocare un radicale cambiamento atto a favorire il cambio di potere. Sulla base di questa nuova strategia, anche la pratica sportiva, diventata ormai una peculiarità culturale di massa di spicco e con un potenziale ideologico di ampia portata, divenne ambito su cui i comunisti italiani iniziarono a guardare con interesse. Quello che il partito iniziò a propugnare, fu l’avviamento di una politica che fosse principalmente concentrata sulla sportivizzazione di massa, che sarebbe stato il metodo più coerente con il proprio disegno di un progressivo controllo delle associazioni sportive popolari. Per potersi insinuare in tale ambito in maniera radicale, il PCI alla fine di marzo del 1949 ricostituì la Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) che consisteva in una organizzazione di giovani a cui veniva, tra le altre attività, fatta praticare l’educazione fisica; l’obiettivo era quello di cercare di attirare ed influenzare tramite attività di carattere culturale, tra cui lo sport, il più possibile i giovani di ogni parte d’Italia e farli diventare militanti di partito. Per raggiungere tale scopo il PCI decise di affidare la segreteria e la direzione della FGCI ad un giovane che in quegli anni si stava cominciando a far apprezzare all’interno del partito: Enrico Berlinguer. Accanto alla federazione giovanile venne fondata anche la UISP, sorta direttamente in reazione alla politica di Giulio Onesti prettamente di tipo filo – atlantico e maggiormente tendente alla costruzione del professionismo sportivo e, dunque, espressione di una concezione sportivamente opposta a quella applicata dall’URSS. L’opposizione comunista attaccò il CONI durante la reggenza Onesti sotto diversi profili: la politica governativa sportiva era eccessivamente elitaria; troppo concentrata a produrre campioni e subordinata agli interessi commerciali delle grandi società che dominavano gli sport più popolari: calcio e ciclismo. In terzo luogo, il PCI pretendeva maggior potere alle realtà locali, in particolare l’Emilia Romagna e la Toscana che erano le regioni dove c’era la maggior densità di iscritti all’UISP. Infine, il partito chiedeva un maggior impegno da parte del CONI nello sviluppo dello sport al fine di diffonderlo in ogni ambito della vita quotidiana dei cittadini al di fuori delle scuole. A tal riguardo, emblematico fu un articolo apparso il primo novembre 1952 su “L’Unità” in merito a questa tematica:

[…] “Il maggior punto all’attivo del precedente quadriennio è senza dubbio di aver finalmente portato lo sport nelle scuole medie. […] quello che rileviamo noi è che questa lotta (sport nelle scuole medie) non si può dire completata se prima il CONI non abbia pensato anche a quelli che, avviati allo sport nelle scuole, non trovano più i mezzi né il luogo per esercitarlo una volta usciti dalla medesima ed avviati alle officine, negli uffici o nei campi. Qui si entra in un altro campo: la divulgazione dello sport fra i lavoratori.”

Come si vede dall’articolo, a differenza dei primi anni dell’Italia repubblicana, i toni utilizzati nei confronti del CONI dal PCI non furono drasticamente critici e duri. Le righe dedicate allo sport si mantenevano pacate e avevano lo scopo di proporre delle strategie da intraprendere piuttosto che aggredire l’organo per quelle prese. Tale cambiamento derivava dal fatto che l’avvocato Onesti sul finire del 1949 formalizzò la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 1960. Se la DC aveva individuato in esse un mezzo da sfruttare da un punto di vista prettamente economico e di consenso, il PCI vide in quel progetto una grande opportunità per la realizzazione del suo obiettivo di influenza elettorale. Da quel momento in poi, PCI e UISP iniziarono dunque un progressivo cambiamento di atteggiamento nei confronti del CONI. Lo stesso organo di stampa “l’Unità”, se fino a quel momento il giornale aveva dedicato poco spazio e importanza alla sezione sportiva, da dopo l’ufficializzazione della candidatura fino al termine dei Giochi iniziò a seguire con molta più continuità la questione sportiva e del movimento olimpico. Da quel momento in poi il PCI avviò un’aspra campagna politica anche sul fronte sportivo, da un lato spingeva per la massificazione “socialista” dello sport; dall’altro mise in difficoltà gli organi di governo della Democrazia Cristiana cercando di mettere in evidenza tutte le zone d’ombra dell’esecutivo da quel punto di vista. Le Olimpiadi del 1960, tra sfratti ai meno abbienti, errori di organizzazione, variazioni del piano regolatore che non arrivavano e favoritismi verso il Vaticano, divenne il più grande terreno di scontro politico del decennio precedente all’Olimpiade e per gli anni successivi. Grazie allo sport, anche il PCI del post fascismo trovò il modo per avviare una campagna politica che avrebbe avuto un’influenza molto più incisiva rispetto a molte altre questioni burocratiche meno spendibili per l’opinione pubblica. Quando un partito sceglie di diventare di massa, anche le questioni che deve necessariamente affrontare devono essere di massa, e questo Togliatti lo capì immediatamente.