Di Adelmo M. Imperi

Il calcio negli “anni di piombo”

Alla fine degli anni Sessanta l’Italia stava attraversando una stagione di grandi cambiamenti ed effervescenza politica rivoluzionaria e antisistema. In questa situazione, il 12 dicembre 1969, nella sede milanese della Banca dell’Agricoltura, scoppiò una bomba che causò la morte di sedici persone mentre altre 88 rimasero ferite. Questo attentato costituì l’inizio di un periodo di terrore, di un’epoca di violenza senza precedenti nell’Italia del dopoguerra. Tra il 1969 e il 1975 si poterono contare ben 4.384 azioni violente contro persone, aziende, istituzioni. Caratteristica generale è che non avevano una matrice unica. Alcuni attentati sono stati spiegati come la risposta dell’estrema destra alla stagione delle riforme, all’”autunno caldo” e alle proteste studentesche ed operaie di quegli anni. La reazione dell’estrema sinistra non si fece attendere e in questo clima di tensione nacquero gruppi terroristi organizzati di matrice marxista-leninista che intrapresero a loro volta la lotta armata. Ben presto però cominciò a farsi strada un’ipotesi più inquietante: che ci si trovasse di fronte ad un tentativo di condizionamento dell’intera società italiana da parte della classe dirigente attraverso una premeditato piano di strumentalizzazione della violenza. Si trattava della cosiddetta “strategia della tensione.”

In questo contesto brutale a rimanere contaminato fu anche lo Sport. In particolare a risentire maggiormente dei tumulti politici fu inevitabilmente il calcio. Disciplina che, per la sua visibilità, conformazione e bacino d’utenza, meglio si prestava a infiltrazioni di carattere politico e meglio poteva permettere manifestazioni di dissenso anche violente tra i giovani militanti. Partiti politici e squadre di calcio iniziarono ad andare inevitabilmente in parallelo e spesso la squadra di calcio identificava anche l’ideologia politica di chi la tifava. La prima strutturazione di tifosi si ebbe a Torino, sponda granata. Nel 1951 furono fondati i “Fedelissimi”, ma esperienze più concrete si iniziarono ad avere negli anni ’60: Helenio Herrera, all’epoca allenatore dell’Inter, sulla base della propria esperienza calcistica in Argentina, credeva molto nel sostegno del pubblico e iniziò quindi a premere sulla società nerazzurra affinché organizzasse dei club di tifosi che incitassero i giocatori con cori e slogan. Nacquero così “I moschettieri”, che in seguito saranno i “Boys”.

Cominciano a vedersi negli stadi le prime grandi bandiere ed i primi strumenti di tifo, come trombe, tamburi e “raganelle”. Per arrivare alla creazione dei primi veri gruppi ultrà, bisogna però attendere la fine del decennio, in un’epoca di grandi cambiamenti e contestazione giovanile. Fra il 1968 ed il 1969 cominciano a vedersi le prime organizzazioni giovanili di tifosi: a Milano, sponda rossonera, alcuni ragazzi si riuniscono nel vecchio rettilineo di S.Siro fondando la “Fossa dei Leoni”, il cui nome viene preso dal vecchio campo d’allenamento del Milan; un anno più tardi i cugini nerazzurri fondano i “Boys – Furie nerazzurre”, che dopo qualche anno cambieranno nome in “Boys – S.A.N. (Squadra d’azione nerazzurra)”. A Genova intanto i doriani danno vita al Sampdoria Club Tito Cucchiaroni, in onore di un giocatore argentino militante in quegli anni con la maglia biancoscudata: l’ala più giovane del club comincia a farsi chiamare “Ultras Tito Cucchiaroni”, il nome venne scelto per l’idea di oltranzismo e ribellione che emanava, va infatti tenuto a mente che con il termine “Ultras” o “Ultrà” venivano definiti gli estremisti politici e vista l’epoca la ricerca del parallelismo tra sport e politica era all’ordine del giorno. Sono queste le prime, vere organizzazioni giovanili di tifosi e del “Movimento Ultras”.

A partire dagli anni ’70 la situazione cominciò radicalmente a tendere sempre più verso questa nuova conformazione: nel 1971 a Verona nascono le “Brigate Gialloblù”, primo esempio di tifoseria organizzata in una città di provincia, forse il gruppo che più di ogni altro influenzerà il modo di tifare. A Roma cominciano a vedersi i primi gruppetti, sia sul versante giallorosso (Centurioni, Boys, Fedayn) che su quello laziale (Commandos Monteverde, Ultras ’74). Fra il 1973 ed il 1977 il fenomeno vide una vera e propria esplosione: gruppi di giovani tifosi nascono in quasi tutte le tifoserie più grandi del Nord Italia: Bergamo, Bologna, Torino, Genova, Firenze, ma anche realtà minori come Vicenza, Alessandria, Modena, Reggio Emilia, Trieste, Padova, Cesena, Catanzaro, Napoli, Bari. I giovani gruppi di tifosi nella maggior parte dei casi nascono da scissioni con i club organizzati, a cui rimproverano un eccessivo “pacifismo” in un periodo storico molto carico di tensioni sociali.

I “nuovi” gruppi di tifosi cominciano a posizionarsi nei settori più popolari degli stadi (ossia le curve) e ad organizzarsi con stile e gerarchia militare. Nelle gradinate cominciano a vedersi giacche militari e tute mimetiche, baschi, sciarponi in lana con i colori della squadra del cuore, eskimi e sempre più spesso anche caschi da motociclista, bastoni, catene, pistole lanciarazzi. La politica, parte integrante di tutta la cultura giovanile di quegli anni, iniziò ad entrare brutalmente anche negli stadi tramite slogan e rivendicazioni ideologiche. Va precisato in questo senso però, che quello che fu visibile all’interno degli impianti sportivi, era la punta dell’iceberg, i gruppi organizzati che la domenica popolavano gli stadi avevano un legame ben più profondo, essi rappresentavano una nuova forma di aggregazione che partiva dalla piazza o dalla sede di partito, ma anche dai quartieri più degradati e dalle periferie dove in quegli anni si respirava un forte senso di rivincita e di riscatto sociale. I nuovi giovani tifosi cercarono nella fede per la squadra una forma di lotta, portando in pratica all’interno delle gradinate quella che era la vita di tutti i giorni. Cominciarono ad intravedersi i primi rudimentali striscioni, molto spesso in stoffa con le lettere squadrate e cucite, e come simboli, teschi, spade, aquile, stelle a cinque punte. In altre parole, la rappresentazione di quello che era l’immaginario collettivo degli anni di Piombo che stavano investendo lo Stivale. La nascita di queste nuove forme di corporazioni resero il clima all’interno degli stadi sempre più acceso e la tensione che si respirava sempre più pesante.

Iniziarono così gli scontri extra sportivi, le situazioni di gioco e le prestazioni sportive passarono totalmente in secondo piano e venivano utilizzate solo come pretesti per riunire i gruppi o per mobilitare scontri. Si assistette alla nascita di vere e proprie rivalità fra bande di tifosi sulla base dell’orientamento politico. La politica fu infatti un vero e proprio collante, un ideale che portò allo scontro ed al compimento di vere e proprie stragi ed attentati; per le strade, nelle università, sul lavoro i contrasti di natura politica finivano spesso in conflitti violenti. In questo contesto gli ultras, per la forte connotazione politica ben si inserivano e furono uno degli esempi più lampanti dell’epoca delle violenze di piazza.

Nella seconda metà degli anni settanta si contano già diversi gruppi ultras nelle maggiori città del Centro-Nord; ed all’interno di molte tifoserie i vari gruppi arrivano ad unirsi dietro un'unica insegna, unire le forze per il bene della tifoseria stessa: con questo sistema i tifosi del Toro danno alla luce gli “Ultras Granata”, che negli anni ’70 erano una tifoseria molto temuta, invidiata ed imitata da tutti. Qualche anno più tardi anche i tifosi romanisti provano a seguire l’esempio. Nel 1977 tutti i gruppetti presenti decisero di unire le forze, per dar vita al più grande “Commando Ultrà Curva Sud”, che negli anni a seguire rappresenterà un vero e proprio punto di riferimento per l’interno movimento ultras italiano. Di lì a poco anche i tifosi laziali crearono gli “Eagles Suporters” e sul finire degli anni ’70 il movimento ultras prende sempre più piede, e gli scontri fra tifoserie aumentarono esponenzialmente: emblematici in questo senso furono ad esempio gli scontri che nel 1977-78 vedono contrapposti bergamaschi e granata al termine di Atalanta-Torino; o nello stesso anno veronesi e bolognesi.

Sempre in quel periodo, tuttavia, cominciano a nascere le prime alleanze fra opposte tifoserie, quelle che di lì a qualche anno prenderanno il nome di “gemellaggi”: altro non furono che l’unione di due o più tifoserie verso una squadra nemica in comune. È curioso notare come molti dei rapporti di amicizia nati in quegli anni nel tempo si deterioreranno, trasformandosi in feroci rivalità. Le tifoserie italiane divennero così via di mezzo fra le “torcidas” sudamericane ed i “mob” inglesi e proprio questa morbosa ammirazione per gli hooligans portò in quel periodo alcuni esponenti delle Brigate Gialloblù di Verona ad una serie di viaggi oltremanica, per seguire da vicino le gesta degli “Head Hunters” del Chelsea.

Gli anni degli scontri tra gruppi organizzati negli stadi del 70 si chiusero con una tragedia che fece esplodere definitivamente a livello istituzionale il caso violenza negli stadi: il 28 ottobre 1979, pochi minuti prima del derby fra Roma e Lazio, un razzo sparato dalla curva giallorosa colpisce in pieno volto Vincenzo Paparelli, tifoso laziale appostato in Curva Nord, uccidendolo. L’intera giornata sarà funestata da gravi incidenti: nella stessa domenica si verificarono scontri fra opposte tifoserie anche prima, durante e dopo Ascoli-Bologna e Brescia-Como. Il mondo del calcio si svegliò sotto shock. Alla fine, il governo prese la decisione di vietare striscioni riportanti nomi, slogan e simboli che potevano in qualche maniera inneggiare alla violenza. Ne farà le spese il C.U.C.S Roma, costretto per qualche anno a cambiare nome in “I Ragazzi della Sud”, e pochi altri gruppi in Italia. Alla fine però non cambiò molto sulla sostanza se non che l’Italia, per la prima volta, si interrogò sul problema della violenza negli stadi prendendo coscienza della politica, e altre questioni, nello sport più amato dagli italiani.